Pubblicato nel Corriere sotto “Opinione”

Maurizio Agustoni, avvocato, granconsigliere PPD, vicepresidente del Partito e possibile candidato al Consiglio di Stato, si esprime oggi sulla scottante iniziativa scolastica della sinistra, il cui esito sarà decretato fra 3 giorni.

Maurizio Agustoni è presidente dell’Associazione Società Civile della Svizzera Italiana, che organizza oggi (cogliamo la palla al balzo!) – in collaborazione con Avenir Suisse e l’Associazione Bruno Leoni – un’importante conferenza all’USI (ore 17.30) con la professoressa e filosofa americana, “guru dell’Humanomics”, Deirdre McCloskey. Ticinolive sarà presente all’evento.

 

Il prossimo 28 settembre saremo chiamati a pronunciarci sull’iniziativa popolare: «Aiutiamo le scuole comunali – per il futuro dei nostri ragazzi». Il titolo dell’iniziativa, come spesso accade, è quasi del tutto privo di attinenza con i contenuti del testo in votazione. Le proposte principali dell’iniziativa sono quattro: 1. riduzione del numero massimo di allievi per classe nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole elementari (da 25 a 20); 2. doposcuola alle scuole elementari per tutti, anche d’estate; 3. mense scolastiche per tutti; 4. scuola dell’infanzia ad orario prolungato (anche d’estate) per tutti.

La proposta di ridurre il numero di allievi per classe – che è l’unica delle quattro ad avere una qualche attinenza con la qualità della formazione – è comprensibile, ma è estremamente costosa: 20 milioni di franchi l’anno di nuovi stipendi (meno allievi per classe significa più classi e, quindi, più docenti) e alcune decine di milioni di investimenti in edilizia scolastica (più classi significa più aule). Un simile sforzo finanziario sarebbe giustificato se in Ticino vivessimo una situazione di cronico sovraffollamento delle aule scolastiche. In realtà il 75% delle classi rispetta già oggi il limite dei 20 allievi e il numero medio di allievi per classe in Ticino è inferiore alla media Svizzera (18.6 a fronte di 18.9). Inoltre, per le classi con più di 20 allievi, il Gran Consiglio ha recentemente introdotto la possibilità di nominare un docente d’appoggio. Insomma, il santo non sembra valere la candela: gli ipotetici benefici di una riduzione degli allievi per classe sono in effetti troppo modesti e circoscritti rispetto all’ampiezza delle risorse finanziarie che si vorrebbero mobilitare.

Le altre richieste dell’iniziativa (mense, doposcuola, orario prolungato), per quanto legittime, non hanno invece nulla a che vedere con la qualità della formazione in Ticino, ma riguardano piuttosto la richiesta di più ampi servizi di complemento alla famiglia. In pratica si tratta di introdurre un diritto assoluto a poter collocare i figli a scuola durante l’attività professionale dei genitori. La conciliabilità tra lavoro e famiglia è una delle sfide più importanti della nostra società. Per molte famiglie un doppio reddito è una necessità esistenziale, per altre è uno strumento per conseguire un certo benessere e un’adeguata realizzazione professionale. In Ticino il tasso di natalità è tra i più bassi d’Europa, è quindi legittimo (e anzi doveroso) incoraggiare quelle iniziative che migliorino la coesistenza tra lavoro e famiglia. È meno legittimo che questo compito venga assunto monopolisticamente dallo Stato – avvilendo le iniziative già presenti sul territorio (in parte basate sul volontariato) – e che venga sobbarcato d’imperio alla scuola e ai suoi docenti, oltretutto contrabbandandolo scorrettamente come un «aiuto alle scuole comunali».

Anche in questo caso pesa poi come un macigno l’incognita legata ai costi: per i Comuni si tratterebbe verosimilmente di svariati milioni di franchi l’anno (a Lugano sono stati investiti 9 milioni per la sola messa in esercizio delle mense scolastiche, neppure accessibili a tutti). In un periodo di difficoltà per Cantone e Comuni è necessario operare le scelte secondo dei principi di realismo e di responsabilità, come in una qualsiasi economia domestica. I desiderata dell’iniziativa sono condivisibili, ma rasentano l’utopia finanziaria e sono realizzabili solo a patto di dilatare a dismisura il debito pubblico o di aumentare le imposte. E se anche tra le pieghe del bilancio dello Stato riuscissimo a scovare 50 o 60 milioni di franchi in più all’anno (quando in realtà ne mancano, già oggi, 250 milioni) non credo che tra le problematiche prioritarie della scuola ticinese vi siano eventuali carenze di mense e doposcuola.

In definitiva l’iniziativa in esame si rivela insostenibilmente dispendiosa e – soprattutto – non porta alcun tangibile miglioramento alla qualità della formazione in Ticino, né sostiene in modo particolare le nostre scuole comunali. Auspico quindi che le cittadine e i cittadini ticinesi dimostrino senso della responsabilità e oppongano un chiaro no all’iniziativa «aiutiamo le scuole comunali».

Maurizio Agustoni