Il ragionevole dubbio sulla colpa e la ragionevole sfiducia che ne consegue
(titolo originale)

È giusto che il lavoratore sia assolto dall’addebito disciplinare anche per insufficienza di prove, ma non è giusto che all’impresa sia negata una via d’uscita, costosa ma sicura, dal rapporto con il lavoratore della cui affidabilità non può più essere certa

dal blog www.pietroichino.it

NOTA. Questo breve articolo potrà sembrare al lettore una divertente bizzarria. Noi temiamo invece che, sotto le vesti dell’apologo esemplare, esso rappresenti qualcosa di molto reale.


Claudio, impiegato della Banca di Baranzate, o è un mascalzone, oppure è proprio sfortunato: la stampa di un tabulato pieno di dati riservatissimi sui conti correnti dei clienti, utilizzato per una truffa ai loro danni, è stata disposta proprio dal suo terminale. La truffa è stata scoperta,  la polizia ha trovato quel tabulato, la Banca è riuscita a risalire all’ordine di stampa del tabulato. Gli ha quindi contestato il concorso in truffa e poi lo ha licenziato. A nulla è valso che lui spiegasse che si era trattato soltanto di una distrazione momentanea: recatosi alla toilette per ivi svolgere una funzione urgente e non delegabile, aveva dimenticato di togliere dal terminale il proprio badge, consentendo così involontariamente al complice dei truffatori di acquisire il tabulato. Negligenza, certo – protesta Claudio -, ma non collaborazione dolosa a una frode.

Se alla Banca questa spiegazione non è bastata, essa è invece bastata al giudice investito della questione: il quale, applicando nella materia disciplinare il criterio applicato normalmente da un giudice penale, ha ritenuto che la colpevolezza di Claudio sia probabile, ma non certa: non può escludersi al di là di ogni ragionevole dubbio che le cose siano andate come Claudio sostiene. E come ognun sa, in materia penale insufficienza di prove equivale a non aver commesso il fatto; donde la sentenza di reintegrazione. Già; ma ora la Banca dovrebbe dunque tenersi un impiegato che è “probabilmente, anche se non sicuramente, un truffatore”, e continuare ad affidargli i soldi dei clienti?

Ecco perché, se – come Damiano e Cuperlo sono riusciti a strappare a Renzi all’esito della Direzione PD di lunedì scorso – nel caso di annullamento di licenziamento disciplinare deve mantenersi la reintegrazione del lavoratore nel suo posto, allora è necessario estendere anche al datore di lavoro la possibilità, che oggi è data al solo lavoratore, di sostituire la reintegrazione con una indennità congrua, anche superiore a quella ordinaria che sarà prevista per il licenziamento non disciplinare. Un costo alto, certo; ma vale la pena di pagarlo per evitare all’azienda un danno maggiore e sicuramente ingiusto.

senatore Pietro Ichino