Scorrazzando in Toscana con Giacomo Puccini
dal libro “Addio Firenze, addio cielo divino!”


PucciniCarlo [Vivaldi, nato nel 1868, figlio di Giuseppe, possessore di una Benz decappottabile] s’illudeva di eccellere in tale disciplina, ma i fatti lo hanno più volte smentito. E’ rimasto proverbiale un curioso incidente da lui provocato in Lunigiana, nel centro di Aulla, quando per non aver sterzato in tempo finì fra i tavoli di un caffè tra le grida di terrore degli avventori. Per fortuna non accadde nulla di serio, a parte una slogatura alla spalla dell’autista e qualche leggera contusione riportata da taluni dei presenti.

Più memorabile un altro infortunio occorsogli sulla strada di montagna tra Pietrasanta e Arni, anch’esso dai risvolti comici ma che avrebbe potuto avere conseguenze ben più drammatiche. Per comprendeme la dinamica occorre ricordare che in quegli anni le macchine in circolazione si contavano sulle dita di una mano. Se nelle grandi città una certa abitudine al traffico era ormai acquisita, ciò non valeva per i piccoli centri. I pochissimi fortunati proprietari di un’automobile usavano ritrovarsi presso locali pubblici al fine di discutere sulle prestazioni delle rispettive vetture, e magari invitarsi reciprocamente in qualche escursione per metterle alla prova. Uno dei meglio frequentati era il Caffè Margherita di Viareggio. I clienti parcheggiavano i veicoli sotto le palme della passeggiata, formando crocchi intorno ai tavoli all’aperto. Qui si davano appuntamento i personaggi più noti della riviera, indigeni o forestieri che fossero, e fra costoro molti uomini di cultura.

puccini 4Fu così che Carlo conobbe Giacomo Puccini, notoriamente versato in diversi sport quali la nautica, la caccia, il ciclismo e l’automobilismo. La fama e la ricchezza raggiunte gli permettevano l’acquisto di magnifiche vetture di ogni marca e provenienza. Cordialissimo e affidabile nei modi, per nulla compreso del proprio successo e sempre alla ricerca di nuove esperienze, trovò nell’uomo d’affari fiorentino un valido interlocutore, specie quando costui lo informò della propria intenzione di trasferire la casa di vacanze a Viareggio, visto che Marina di Pisa stava già allora declinando per la tendenza del mare a erodere la spiaggia. D’Annunzio l’aveva da poco abbandonata per la Versilia e molte famiglie della buona società, che pendevano dalle labbra del Vate, si accingevano a seguime l’esempio. Puccini abbozzò un enigmatico sorriso quando udì il nome del poeta, che certo ammirava ma col quale non era mai riuscito a stabilire una vera intesa, principalmente per l’abisso caratteriale che li divideva. L’amicizia che si stabilì fra Giacomo e Carlo proseguì a lungo, sebbene i loro incontri si limitassero ai pochi giorni di ferie che entrambi riuscivano a permettersi, per altro rafforzata dal successivo trasferimento dei Vivaldi a Viareggio in una palazzina di Via Etruria prospiciente la pineta, dirimpettaia della nuova villa del musicista in viale Buonarroti.

Un bel giorno, comunque, dopo tanto discutere decisero di organizzare insieme una breve escursione sulle Apuane, allo scopo di provare la nuova vettura acquistata da Carlo. All’andata guidava Puccini e tutto si svolse magnificamente. Al ritorno, invece, si sedette al volante il proprietario che, poco esperto com’era, affrontò una curva in discesa a velocità sostenuta all’altezza della fermata Levigliani del tram per Arni, finendo con le ruote anteriori nel precipizio. La situazione si presentava assai precaria: ogni movimento avrebbe potuto provocare la catastrofe. A quell’epoca, priva di cellulari, chiamare soccorso a distanza era impossibile. Come Dio volle apparve sulla strada un carro di fieno trainato da due bovi, condotto da un contadino. Quest’ultimo offrì il proprio aiuto ai due sfortunati viaggiatori: agganciando la vettura con una fune, e con l’ausilio degli animali, li avrebbe rimessi in carreggiata. A questo punto il conducente, sempre molto accorto nello spendere, gli chiese quanto sarebbe costato l’intervento. L’agricoltore, che forse un po’ furbetto poteva pure essere, sparò una cifra a prima vista eccessiva, rifiutata con apparente scandalo dall’autista, coadiuvato dalle imprecazioni del compositore, anch’egli d’accordo nel non subire un così vergognoso ricatto! «Vabbè, allora restate pure indò siete, io me ne vado», reagì il bovaro accennando al gesto di allontanarsi. «Ma no, cerchiamo di trovare un compromesso ragionevole», lo esortò Carlo dal finestrino, «in fin dei conti lei dovrebbe essere onorato di salvare una grande gloria nazionale. Chi mi siede accanto non è altri che il celebre maestro Giacomo Puccini!» Udito quel nome, quasi venerato in Versilia, il contadino si avvicinò alla portiera sinistra della vettura, la guida essendo a destra, fissò in volto il passeggero tanto per non passà pe’ bischero ; si convinse che l’identità corrispondeva, formulando allora una richiesta più moderata. La brutta avventura si avviò quindi a un lieto fine, ma il suo ricordo rimase negli annali di casa Vivaldi, quale simbolo di ciò che può l’avarizia (o la prudenza, come i due protagonisti avrebbero preferito definirla), quando un lucchese e un genovese s’incontrano.

Carlo Vivaldi-Forti