La Cina, paese che nel mondo mette a morte il maggior numero di condannati, nel 2013 ha proceduto all’esecuzione capitale di 2’400 persone. Lo ha annunciato il 21 ottobre la fondazione Dui Hua, la cui sede si trova negli Stati Uniti.

Queste 2’400 esecuzioni rappresentano un calo del 20% rispetto al 2012 e una netta diminuzione rispetto alle 12’000 esecuzioni registrate nel 2002, precisa la ONG in un comunicato.
Una cifra che già all’epoca segnava un netto calo rispetto al record delle 24’000 condanne a morte del 1983, il primo anno della campagna di severe sanzioni promossa dal presidente Deng Xiaoping.

Il numero esatto delle persone giustiziate in Cina non è mai stato divulgato dalle autorità, ma secondo diverse organizzazioni di difesa dei diritti dell’uomo, il numero delle esecuzioni capitali in Cina è superiore a quello di tutti gli altri paesi del mondo riuniti.

Secondo Amnesty International, un totale di 778 persone sono state giustiziate nel 2013 all’infuori della Cina. La fondazione Dui Hua afferma di aver ottenuto le cifre delle sentenze capitali eseguite da un responsabile giudiziario, il quale ha accesso al numero delle condanne a morte eseguite ogni anno nel paese.

La tendenza al ribasso rischia tuttavia, secondo Dui Hua, di essere rimessa in causa dalla campagna estremamente repressiva delle autorità cinesi nella regione musulmana dello Xinjiang, dove sono in corso proteste sociali e una rivolta da parte della popolazione, che non riconosce l’autorità di Pechino.
Quest’anno nello Xinjiang centinaia di persone sono state condannate per terrorismo, mentre altre centinaia sono morte negli scontri con le forze dell’ordine.

Nel 2007 la Cina aveva ridotto il numero dei crimini punibili con la pena di morte, ma il suo sistema penale, direttamente controllato dal partito comunista al potere, rimane una macchina per giustiziare quasi sistematica.