Il Trattato transatlantico, ideato dagli Stati Uniti e accettato dall’Unione europea, porterà dapprima a definire le norme mondiali per i prodotti industriali. Poi queste norme saranno estese ad altri accordi commerciali.

Il progetto del Trattato transatlantico è in elaborazione da almeno 20 anni, ma dal 2009 ha subìto una netta accelerazione, in un contesto di sconvolgimenti economici e geopolitici a livello mondiale, con l’avanzare della Cina e di altri paesi emergenti.

Dalla fine della Seconda guerra mondiale, gli Stati hanno cercato di regolamentare il commercio internazionale. Per garantire uguaglianza di trattamento, l’accordo internazionale GATT – Accordo generale sulle tariffe ed il commercio – ha attuato principi di reciprocità, trasparenza e diffusione della clausola della nazione più favorita.
Questa clausola vuole che quando un paese concede un favore, soprattutto tariffario, a un altro paese, lo deve concedere a tutti i paesi con cui fa affari. Inoltre i produttori stranieri devono eguire le stesse regole dei produttori nazionali. Lo scopo del GATT era quello di sviluppare un quadro per favorire il multilateralismo.

Però dietro i principi di fondo e di forma, il multilateralismo non si è mai verificato.
Quasi sempre i paesi ricchi stabiliscono le trattande dei negoziati e fanno in modo di uscire vincenti da ogni trattativa. Hanno sempre accettato di liberalizzare i settori che necessitavano di tecnologie (che erano i soli ad avere) e hanno rifiutato di aprire i settori dove rischiavano di subire concorrenza (agricoltura e tessili).

Questo multilateralismo di facciata era stato perturbato dall’entrata della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio, nel 2001.

Mentre la maggior parte dei dirigenti americani e europei pensavano che le esportazioni dei loro paesi avrebbero invaso la Cina, si assisteva alla delocalizzazione delle aziende dei paesi occidentali verso la Cina, dove la manodopera era a minor costo.
Altri paesi emergenti, come Brasile e India, si introducono nel commercio internazionale e americani e europei non riescono più a imporsi. Nel commercio mondiale la parte relativa agli scambi nord-nord si indebolisce, mentre cresce il peso dei paesi emergenti.

E’ in questo contesto che gli Stati Uniti cercano di avvicinarsi alla Cina, ma un’intesa sulle norme di produzione sembra impossibile, perchè i processi di produzione sono troppo diversi.
Inoltre la Cina è un rivale economico e militare. Dunque, per arginare la potenza cinese gli Stati Uniti sviluppano una diplomazia commerciale, il cui scopo è promuovere trattati con i paesi del Pacifico e dell’Europa.

Le multinazionali americane non erano interessate a firmare un trattato con i paesi del Pacifico prima di quello con i paesi europei.
I paesi del Pacifico hanno norme di produzione e di consumo meno vincolanti rispetto alle norme americane. Un successo nei negoziati transpacifici avrebbe portato le aziende americane ad adattare le proprie norme a quelle dei paesi del Pacifico e a subirne i costi di riorganizzazione.

Si doveva dunque iniziare dall’Europa, dal trattato transatlantico, perchè le norme di consumo e produzione fra Stati Uniti e Europa sarebbero sfociate in direttive mondiali.
In questo modo gli Stati Uniti potranno negoziare con i paesi del Pacifico senza dover ridurre la propria regolamentazione, né modificare le tecniche di produzione.

Se non vorranno essere escluse dal mercato europeo e americano, le grandi aziende dei paesi industrializzati del Pacifico saranno obbligate a adattare le proprie tecniche e regole a quelle degli Stati Uniti e dell’Europa. In questo modo il Trattato transatlantico modificherà le norme commerciali a livello globale.

(Fonte : La Tribune.fr)