In questi tempi cupi, molti, di coloro che sono sempre alla ricerca di soluzioni stataliste miracolose alla crisi, dimenticano che i veri due motori dell’economia e del nostro modello sociale sono la famiglia e l’impresa. Dimenticano quindi che la soluzione potrebbe essere più a portata di mano di quello che credono, se solo tornassero a valorizzare questi due nuclei essenziali del sistema economico. L’economia occidentale piaccia o no, sta in piedi grazie all’anonimità di decine di milioni di famiglie e a decine di milioni di piccole medie imprese. L’economia che ci dà redditi, benessere e prosperità diffusa, anche in tempo di crisi, non è la risultante di politiche statali geniali o di sistemi sovranazionali talmente perfetti come spesso ci viene fatto credere. Anche la miglior politica economica pensata dalle migliori menti e imposta da governi potentissimi non potrebbe assolutamente nulla se non ci fossero più famiglie e imprese libere di svolgere il loro ruolo fondamentale: quello di tenere assieme il mondo grazie ad una fitta rete di scambi sociali ed economici pacifici spontanei 24 ore su 24 e 7 giorni su 7.

Che l’impresa privata sia un motore economico è abbastanza accettato, ma che pure la famiglia lo sia altrettanto, invece ancora troppo pochi lo riconoscono. Qui si intende la famiglia come nucleo portante ed insostituibile che forma e che crea, sviluppa, coregge e alimenta il nostro sistema economico. Intendiamoci subito, non mi interessa far risaltare la funzione di consumo di beni e servizi della famiglia, è ovvio che le famiglie sono delle attrici importanti nel ciclo domanda – offerta. No, intendo la famiglia per le sue peculiarità che la fa essere un cardine che preserva e sviluppa nel tempo quei valori e comportamenti di cui l’economia di libero mercato non può fare a meno. La famiglia è quella palestra in cui si imparano e si rafforzano quei principi e quei comportamenti di cui ogni libero mercato sano e prospero non può fare a meno.

Guarda caso è proprio l’annullamento di questi principi e di questi comportamenti che hanno mandato in tilt prima il mondo finanziario, poi l’economia reale e poi i governi di certi Stati. Quali sono: la fiducia, la propensione al rischio calcolato, la speranza, il rispetto dell’altro, l’accettare le correzioni, il perseguire uno scopo senza marciare sugli altri e altro ancora. In famiglia, giorno dopo giorno, gratuitamente e con naturalezza si impara: a condividere le circostanze, a litigare costruttivamente, a fare qualche passo indietro, ad ammettere gli errori, a chiedere aiuto spontaneo, a stare assieme per uno scopo, a capire che esiste la gratuità e che serve moltissimo, a perdere la faccia ma a sentirsi voluti bene lo stesso, a rimanere uniti nella difficoltà, a gioire per la felicità dell’altro, a mantenere la parola data, a non fare all’altro ciò che non vorremmo fosse fatto a noi, a provare sulla pelle che le risorse sono limitate, a scambiarsi consigli, a trovare soluzioni, compromessi. Tutte esperienze ed allenamenti impagabili e utili ai mercati.

Un grande dell’economia e premio Nobel, Milton Friedman, non si affaticava mai di dire che le decisioni più importanti per l’umanità in campo economico sono quelle prese liberamente quotidianamente da milioni di famiglie al tavolo di cucina. Per questo alle nostre piccole latitudini mi pare strano e perverso che si continuino a promuovere false politiche pro famiglia ma che hanno l’effetto contrario, cioè lo sfaldamento della famiglia e la sua atomizzazione. L’ultima in ordine di tempo è la bocciatura da parte della commissione tributaria del Gran Consiglio (PLR, PPD e Socialisti) di una mia iniziativa che vuole permettere a quelle famiglie che scelgono che un coniuge resti a casa per crescere ed educare i figli possano dedurre fiscalmente l’equivalente del costo di affidamento dei figli che quelli che scelgono di lavorare entrambi possono dedurre dalle imposte. Mi sembrerebbe oltre che un dovuto di parità di trattamento fiscale anche una misura per sostenere davvero uno dei due motori fondamentali dell’economia.

Sergio Morisoli, granconsigliere, presidente di Area Liberale

Articolo pubblicato nel GdP