Ha colpito me come ha colpito tutti. Come una mazza da baseball sulla zucca. Senza preavviso (sorbivo tranquillamente il mio cappuccino al Grand Café al Porto in via Pessina). Per due giorni l’inchiostro è scorso, drammaticamente, a torrenti e Ticinolive non può esimersi dal dire la sua. Lo fa intervistando l’economista Barbara Vannin, che ci dà la sua interpretazione di quanto è successo e… guarda avanti.
Un’intervista di Francesco De Maria.
Francesco De Maria Alle 10.32 di giovedì 15 febbraio è scoppiata, all’improvviso, la tempesta. Il segreto era stato ben custodito. Addirittura nei giorni antecedenti erano state rilasciate dichiarazioni ingannevoli. Quanti sapevano?
Barbara Vannin Tutti! Il 6 settembre 2011 la BNS aveva introdotto la soglia minima di cambio a franchi 1.20 per 1 euro come provvedimento e si sapeva che era una misura temporanea. Del resto, rientra nelle misure non convenzionali, che non sono destinate a durare per sempre…
La BNS è, almeno teoricamente, indipendente. La decisione è stata presa senza il concorso del Governo?
BV La BNS è indipendente! Non ha tutto l’iter burocratico tipico dell’apparato statale… Detta molto semplicemente può svegliarsi al mattino, prendere una decisione di politica monetaria ed applicarla immediatamente. Lo Stato fa politica fiscale che ha tempi più lunghi.
Con quale “meccanismo” la BNS assicurava il cambio minimo di 1.20 franchi per euro?
BV Ha acquistato miliardi in valuta estera e così facendo ha immesso sui mercati franchi. Ciò ha comportato una diminuzione del valore del franco e un aumento del valore della valuta estera acquistata, poiché all’aumentare della domanda aumenta il prezzo. La BNS in pratica si è “riempita” di valuta estera, inclusi euro.
L’ammontare complessivo di questa enorme operazione di acquisto sull’arco di più di 3 anni è conosciuto?
BV Di sicuro una somma ingente, presumo che con la pubblicazione dei conti 2014 si potrà conoscere la cifra…
Perché la situazione era diventata, così si dice, insostenibile?
BV In primo luogo il franco ha subito un deprezzamento nei confronti del dollaro e questo si ripercuote sul prezzo dei beni e dei servizi, che di conseguenza aumenta. In secondo luogo la soglia minima di cambio era volta ad aiutare le imprese svizzere per mantenere la loro competitività rispetto alle imprese estere, garantendo e mantenendo così il livello dell’export. A parere mio una politica protezionistica applicata a lungo termine non fa altro che nuocere alla competitività nazionale… È un po’ come quando si vuole proteggere una persona cara con la consapevolezza che è in grado di cavarsela da sola. Eppure non la si lascia “sbagliare” o fare la dovuta esperienza. Insomma, per un po’ la BNS ha fatto dimenticare la realtà, e ora che questa è tornata nella sua concretezza, le aziende che vogliono mantenere la propria competitività dovranno darsi una bella svegliata…
L’effetto sulla Borsa è stato dirompente e si è concretato in una brusca caduta dei corsi. Lei pensa che, passato lo choc, possa verificarsi un graduale recupero?
BV Lo choc è stato immediato, e di questo la BNS era al corrente. Ora ci vorrà un po’ di tempo per un assestamento. Sul come dipenderà dalla reazione degli agenti economici. Prima deve però passare il panico e la paura, poi con un po’ di calma si troverà un modo per orientarsi nel marasma.
L’economia europea sembra impegolata in una crisi senza fine. Come si potrebbe descriverne la “traiettoria” a partire dal fatale 2008? A che punto siamo? E quando finirà (sempre che finisca).
BV Se sapessi dire quando finirà probabilmente lavorerei per la BNS! Era inevitabile una crisi. Il ciclo economico è una sequenza di fasi positive e negative, con fasi positive più lunghe rispetto a quelle negative, con quest’ultime più acute. Quello prima della crisi, da marzo 2001 a novembre 2011 (120 mesi!), è stato il ciclo positivo più lungo degli ultimi 60 anni. Quindi…
In Svizzera la crisi si è sentita, ma forse non tutti ne sono stati colpiti al punto da spingerli a rivedere la propria situazione e mettersi in discussione. Forse è proprio questo il vero problema. La misura della BNS introdotta nel 2011 per proteggere l’export svizzero ha fatto sì che le nostre imprese abbiano continuato a lavorare come se nulla fosse, molte addirittura senza neppure rivedere i propri modelli di business! La fine della crisi non dipende soltanto da quanto fatto dalla Svizzera, bensì dalla somma delle politiche attuate a livello europeo e mondiale che si intrecciano. E la scelta di una nazione si ripercuote inevitabilmente sulle altre.
Allo “tsunami” ha fatto seguito un diluvio di dichiarazioni, in genere di tono catastrofico, tutte alquanto scontate. Proviamo a formulare una previsione a breve e a medio termine.
BV Ora la BNS ha levato la rete protettiva e tutti reagiscono con dichiarazioni allarmanti: la prima tra queste riguardo ai tagli sul personale. Un po’ esagerato a poco più di 24 ore, no? Può essere facile dirlo a posteriori, ma le imprese svizzere e soprattutto ticinesi avrebbero dovuto rivedere, e mi ripeto, i loro modelli di business, pensare a come aggredire nuovi mercati e ragionare dal punto di vista dell’offerta per individuare nuovi beni e servizi da immettere sui mercati attuali e anche nuovi.
Probabilmente ora la crisi inizierà a farsi sentire in Svizzera, di sicuro ancora di più in Ticino. Però dobbiamo anche considerare che se la Svizzera è orientata alle esportazioni, al contempo, non avendo molte materie prime, è anche orientata alle importazioni. Non ne accenna nessuno! Ora che i beni all’estero avranno un prezzo d’acquisto inferiore rispetto al passato teoricamente ciò dovrebbe incidere bilanciando gli aspetti negativi sui prezzi all’export. Non ci sono soltanto aspetti negativi, ma si preferisce, forse, dimenticarlo.
In ogni caso non è il momento per prendere decisioni di pancia. Penso però che ora non ci siano più scuse per affrontare il cambiamento, fare un salto mentale e staccarci dal pensiero: “abbiamo sempre fatto così e continuiamo così”!
Tutti dicono che il Ticino sarà colpito più duramente degli altri… E se volessimo stilare un bilancio complessivo dell’intera operazione?
BV Il Ticino è confrontato con il problema dei frontalieri. È evidente che in questo momento pare molto allettante approfittarne e attingere a piene mani a forza lavoro a basso costo dalla vicina Italia. Da imprenditrice ed economista aziendale non posso accusare i datori di lavoro che assumono frontalieri, del resto l’azienda ha dei costi da sostenere. Però ci tengo a sottolineare che un’azienda ha anche una responsabilità sociale e nel limite del possibile, senza metterla a rischio di fallimento, deve tenerne conto.
In passato le aziende ticinesi avrebbero dovuto bilanciare la quota di dipendenti provenienti da oltre confine con quella degli indigeni, creando un equilibrio sostenibile. Forse non ci saremmo ritrovati nella situazione in cui ci troviamo oggi… La colpa, se di colpa possiamo parlare, non è stata soltanto delle aziende, ma anche di molti giovani che fino a qualche anno fa si cullavano nell’idea che un lavoro sicuro e ben retribuito l’avrebbero trovato subito, appena usciti da scuola, e snobbando addirittura le offerte di posti che apparentemente non sembravano molto attrattivi. Ora ci si è dati una mossa e tanti, a testa china, hanno finalmente iniziato a capire in quale realtà si devono muovere e ad accettare salari più bassi e in posizioni magari non esattamente in linea con il proprio profilo di studi. Ci siamo forse svegliati, ma temo che sia un po’ tardi…
Lo ribadisco: dobbiamo fare un salto, affrontare il cambiamento e accettare che siamo in un’epoca dove regna l’instabilità e il rischio. Rischi che poi si conoscono: ieri (giovedì per chi legge) la decisione della BNS, fra poco l’accordo sulla fiscalità, poi l’applicazione del voto del 9 febbraio, e via così. Tutte cose note, ma alle quali non si vuole mai reagire in tempi utili. Insomma, si va di pezze e non di strategie a lungo termine.
Dobbiamo sviluppare noi ticinesi, ora più che mai, una mentalità orientata all’imprenditorialità, dove vi sia una maggior propensione ad assumersi rischi e dove il fallimento non sia visto come una croce, ma come un segno, positivo, che significa “io almeno ci ho provato”.
Il bilancio perciò è negativo, ma non del tutto. Penso che si prospettino tempi molto difficili, ma forse sarà proprio il peggioramento della situazione attuale che permetterà al nostro cantone di fare questo salto quantico: il nostro territorio e noi che ci viviamo abbiamo le capacità e le competenze per riuscirci.
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