Che dire di questo articolo? Lo leggo e mi dico: “L’Avvocato ha ragione”. Poi il mio pensiero corre al dottor Soldati – che chiama voluttuosamente “bankster” i moderni banchieri e su questo tema ha già avuto con l’Avvocato accese discussioni – e mi dico: “Ha un po’ ragione anche lui”.

La lotta per il denaro viene a noi dalla profondità dei secoli e durerà sino alla consumazione del tempo. Il ricco lo possiede e teme che gli venga portato via. Il povero pensa di esserne ingiustamente privato. Questo gioco di pesi e contrappesi, questo accapigliarsi senza tregua dà forma alla società umana e alla storia. Ma non mi azzardo a concludere con un perentorio “tutto qui” perché sarei accusato, a ragione, di materialismo.

Pubblicato nel Corriere del Ticino e riproposto con il consenso dell’Autore.

TT

Ricordiamo tutti l’intrepida figura dell’arciere che nelle foreste di Sherwood si batteva contro gli sgherri del bieco sceriffo di Nottingham. Voleva ricuperare quanto quest’ultimo aveva tolto ad una misera ed esangue popolazione con tasse e gabelle inique, con violenze, espropriazioni, allo scopo di restituire il maltolto ai tartassati.

Il mondo cambia ed oggi abbiamo una classe di moderni autoproclamatisi Robin Hood che hanno capito che è molto meno pericoloso e più conveniente allearsi con lo sceriffo. Potremmo individuare il caposcuola in Bradley Birkenfeld, un americano, funzionario di una grande banca svizzera che per colpe sue ha scontato più di un anno di galera negli USA, ma per i suoi furti di dati bancari e per le delazioni ha ricevuto dagli Stati Uniti un premio di 104 milioni (sic!) di dollari. Si è messo a posto per la vita. È di questi giorni la notizia che i suoi servizi sono richiesti ora dalla Francia. Si riparla anche di Falciani, l’autore del colossale furto di centomila nomi di clienti della HSBC. Su quanto egli con questo o con altri più modesti elenchi abbia eventualmente lucrato vi sono solo congetture. Comunque, ci si chiede di cosa è vissuto in questi ultimi anni. Ha goduto della protezione dello Stato spagnolo e addirittura si diceva che in Francia era diventato funzionario del fisco. Oggi pare sia consulente del partito Podemos che aspira a prendere le redini del governo nelle prossime elezioni spagnole. Ha scritto un libro che gli renderà e gli darà ulteriore notorietà al quale sicuramente farà seguito un film. Non male quale carriera e gratificazione per uno che ha commesso reati sfuggendo alla giustizia.

Altri ladri hanno operato su piccola scala sottraendo dischetti a banche non solo svizzere usandoli quale arma di ricatto o più facilmente vendendoli per 3-4 milioni a botta alle autorità germaniche. Con un delitto impunito uno incassa più che con una vita di lavoro.

Ora, una gran parte dei media, delle autorità e dell’opinione pubblica (da quest’ultimi purtroppo influenzata) considerano questi delinquenti come combattenti per la morale nel, secondo la loro visione, sordido mondo delle banche e degli affari. Due sono gli errori che inficiano un simile giudizio. Che degli Stati dichiarino in nome di una non ben precisata morale dei reati comuni e gravi non punibili, anzi meritori e degni di un premio, è inammissibile. Danno al concetto di moralità e di giustizia di cui si riempiono la bocca un’arbitraria flessibilità determinata solo dal volere e immediata convenienza del potere. Minano pesantemente il rapporto essenziale di fiducia tra cittadino e Stato.

L’altro errore risiede nell’indiziare genericamente intere classi di cittadini quali potenziali delinquenti. Quando un gruppo di pseudo-giornalisti d’inchiesta aiuta il potere, che passa loro una lista di centomila nomi di titolari di conti bancari, mettendo le persone indicate alla gogna, si instilla il sospetto che quell’importante parte di produzione della ricchezza che passa tramite le transazioni bancarie non sia che l’espressione di malaffare. Usare centomila nomi a casaccio, senza alcun approfondimento, fare citazioni a vanvera è gravissimo.

Il pensare che sovrani arabi consolidati da generazioni, che per il loro statuto non sono soggetti al pagamento di tasse siano evasori non è solo grave, è anche stupido (o volutamente diffamatorio). Mettere in accusa personalità o famiglie che come nel caso Gunter Sachs sono perfettamente in regola con il fisco, è un danno morale (impunito) che non può venir rimediato.

Alimenta il «dagli all’untore» (ricco), attualmente però molto in voga. I ricchi non sono simpatici e secondo le regole del compianto economista Cipolla per la proporzionalità hanno la loro parte di stupidi (e anche di delinquenti). Sempre più si considera oltretutto nella classe dei ricchi ogni imprenditore, ogni indipendente e professionista, compreso chi fa fatica a fare le paghe alla fine del mese, rischiando molto del suo.

Stiamo attenti che l’economia non è solo il fiorente, protetto, ovattato parastato. Trattare come un delinquente della peggior specie (molto peggiore di chi ruba e ricatta con dischetti) il contribuente che cerca nell’ambito della legge e della concorrenza dei sistemi di ottimizzare quel pesante costo aziendale rappresentato dalle tasse, contribuirà sempre più a far desistere gli imprenditori dalla loro utile funzione sociale.

Che i Governi lancino la campagna «tolleranza zero» è nella loro discrezionalità. Che le banche, superando il limite che separa consulenza da complicità, abbiano dato l’esca per l’azione iniziata nei loro confronti è pure incontestabile. Ma Stati che ricorrono alla ricettazione e concedono a dei delinquenti l’impunità divenendone complici, si abbassano ai livelli degli sceriffi di Nottingham.

Tito Tettamanti