Giuditta Mosca, questa brava giornalista “d’assalto” – ma lei nega, nega fermamente – costituisce, in un certo senso, un problema. Dopo vi spiego perché. Ha pubblicato su Ticinolive due ammirate interviste, a Natalia Ferrara Micocci e a Claudio Zali, e vari altri articoli, sempre interessanti.

Pubblicare o non pubblicare? Voi direte, che domande sono? Purché stia in piedi, purché sia ben scritto, purché non sia roba da denuncia allo “sceriffo John”, l’imperativo categorico di Ticinolive non può essere che uno: pubblicare!

Il “problema Giuditta” – se posso permettermi di chiamarlo così – per me è il seguente. L’appassionata free-lance di talento sembra avere un “caso personale” con il capo del Dipartimento Istituzioni on. Norman Gobbi. Lo incalza, lo assilla, lo critica, lo tallona da presso, cerca continuamente di coglierlo in castagna. E dunque, che fare? Censurare? È un verbo che non piace a nessuno. Arruolarsi e, sacco in spalla, partire per una mini-guerra? Non ne vedo il motivo.

Al di là di tali considerazioni, il pezzo è perfettamente pubblicabile. Eccolo.

GiudittaIl dibattito sulla sicurezza trasmesso ieri sera da LA 2 ha lasciato un profondo senso di incompiuto. E questo nonostante una Natalia Ferrara Micocci in gran forma così come del resto in gran spolvero è apparso anche Orlando Del Don.

Un senso di incompiuto perché si è parlato di radar per quasi un terzo del tempo a disposizione, con un dibattito piuttosto vacuo sullo scopo dei rivelatori di velocità: sono usati per prevenire o per “fare cassetta”? Non è tema da poco, certo, ma nella classifica di quelli che la popolazione avverte come pericoli i radar non sono in zona medaglia.

Delinquenza, infiltrazioni mafiose, micro criminalità, spaccio e prostituzione. Questi sono i temi caldi che non sarebbero stati sfiorati se il duo Ferrara Micocci – Del Don non vi avessero spostato l’accento.

La candidata PLR non le manda certo a dire. Il direttore del Dipartimento delle Istituzioni è fuori tema, spacciando per risolutore l’avere ridotto i postriboli da 33 a 7, l’ex magistrato riporta però il campanile al centro del villaggio: benché in Svizzera sia legale, la prostituzione è comunque un mercimonio e i reati ad essa connessi esulano da ogni senso di regolarità. Tra questi figurano spaccio, riciclaggio, tratta internazionale di esseri umani. Tutte cose che accadono in Ticino, magari pochi appartamenti più in là, tutti reati che fanno ben più paura dei radar e dello stile di guida garibaldino dei frontalieri, al quale Gobbi ha fatto riferimento più e più volte durante i suoi interventi.

Il tenore sale ancora – ed è stato un momento topico in una trasmissione dai contenuti piuttosto bassi – quando Del Don, che è apparso intenzionato a non mettere troppo in difficoltà il direttore del Dipartimento delle Istituzioni, sottolinea come l’introduzione di nuovi agenti non è una cura né immediata né sul lungo termine: qual è il limite? Cento, trecento, mille nuovi effettivi? Il Ticino è e resta la mecca di furfantelli, ladri patentati, mafiosi e malintenzionati. E, allora, si chiede Del Don, quali metodi di prevenzione? Perché non si dialoga con Berna per aumentare la collaborazione con gli altri Stati, per inasprire le pene e farlo ancora di più in caso di recidiva? Domande lecite cadute nel vuoto che lasciano un retrogusto amaro.

Tutto questo rende il Ticino un posto più sicuro per i malfattori che per i cittadini. Lo dimostrano il caso Grusovin, ricercato in Italia per triplice omicidio e rimasto indisturbato a Chiasso per 4 anni, senza permesso di soggiorno, in un albergo a cento metri dalla gendarmeria. Lo dimostra il fatto che, un anno fa esatto, mentre 50 poliziotti ticinesi presidiavano il World Economic Forum di Davos, i ladri hanno preso d’assalto il Ticino (ad esempio a Coldrerio sono stati perpetrati sei furti in meno di due ore).

Lo dimostra, era gennaio di quest’anno, l’estradizione di un pluricondannato che viveva indisturbato a Lugano da 5 anni. Gobbi minimizza, dicendo che chi rilascia i permessi può non conoscere i trascorsi dei richiedenti. Benché comprensibile, ciò non spiega il caso Sollecito.

No, la situazione non è rosea e non lo diventerà senza una politica più accorta, lo conferma uno tra i dati più preoccupanti. Nel 2012 (dati più freschi non ce ne sono) sono stati condannati in Ticino 563 minorenni, il 36% in più rispetto al 2011. Segno di malesseri profondi che non si risolvono rimpinguando gli effettivi delle forze dell’ordine.

Strana cosa, che vista da un altro Paese può sembrare quantomeno bizzarra: tra la popolazione, anche tra i giovanissimi, aleggiano incertezza e preoccupazione mentre a Bellinzona preferiscono i radar.

Giuditta Mosca