MicocciIl Centro di studi bancari di Vezia, ha organizzato nei giorni scorsi un fortunato convegno „Svizzera e Italia: protocollo e roadmap; chiarimenti da parte dei protagonisti istituzionali“, attirando al Palazzo dei Congressi di Lugano centinaia di persone e una folta presenza mediatica. Fortunato ma che non ha purtroppo potuto dissipare molte ragioni di timore e disorientamento.

A dibattere i due negoziatori principali tra Svizzera e italia: Vieri Ceriani, consigliere per le politiche fiscali del Ministro dell’economia e delle finanze italiano e Jacques de Watteville, incaricato per le questioni finanziarie internazionali al Dipartimento federale delle finanze. Con loro René Chopard, direttore del Centro di studi bancari, Claudio Generali, Presidente dell’Associazione bancaria ticinese, Cosimo Risi, Ambasciatore italiano in Svizzera, nonché Beat J. Ammann, Roberto Grassi, Brunello Perucchi e Fulvio Pelli.

Giusto sottolineare che i due negoziatori intervenivano per la prima volta in pubblico dopo la firma dell’accordo lo scorso 23 febbraio a Milano, a negoziati ancora aperti anche su temi molto delicati come la tassazione dei frontalieri e l’accesso al mercato finanziario italiano: sicuramente uno sforzo apprezzabile.

Per primo è intervenuto Vieri Ceriani, che ha esordito “i due Paesi sono entrambi ugualmente, ancorché parzialmente, soddisfatti” e ricordato la difficoltà dei negoziati, in un clima di reciproca diffidenza, di scossoni politici da entrambi i lati, non da ultimo il blocco dei ristorni e il voto del 9 febbraio. Ceriani ha spiegato le difficoltà italiane, ricordando che solo 3 anni il suo Paese trattava secondo il modello Rubik e che le concessioni verso la Svizzera sono state molte. Il negoziatore di Roma ha aggiunto senza mezzi termini che l’accordo con la Confederazione deve costituire il cambiamento da anonimato fiscale, e dunque massiccia evasione fiscale, alla totale trasparenza, e dunque gettito importante di capitali per l’Italia.

Al termine dell’intervento di Vieri Ceriani, diffuso brusio in sala. Poco o niente infatti sul tema che più interessava i presenti: quale sarà il trattamento riservato agli intermediari finanziari elvetici? Nonostante una mia domanda precisa in tal senso e neppure al termine dell’intervento del negoziatore elvetico Jacques de Watteville, ci sarà chiarezza su questo nodo cruciale. Si dice che questo accordo potrà garantire maggiore sicurezza giuridica per i soggetti svizzeri, tanto per le imprese (le banche) quanto per gli individui (consulenti, fiducari, gestori e affini per intenderci), eppure, da parte dell’Italia per ora di certo vi è solo la rinuncia alla perseguibilità penale dei reati tributari (neppure tutti) e nulla di più.

Rimane molto da comprendere e dunque da negoziare con attenzione nei prossimi mesi, ad esempio quale sia la differenza tra le domande di assistenza fiscale “raggruppate” e le cosiddette “fishing expedition”, le prime consentite e le seconde no. Oppure l’eventuale differenza di trattamento di intermediari finanziari elvetici con clienti che hanno aderito alla voluntary disclosure e quelli con clienti che, malgrado tutto, hanno deciso di non dichiarare i propri averi.

Nessuno in effetti dice in maniera chiara quale debba essere il comportamento corretto degli istituti bancari e dei suoi funzionari. Se un cliente non intende in alcun modo aderire alla voluntary disclosure, la sua banca, secondo il negoziatore Ceriani, dovrebbe chiudergli immediatamente il conto. Bene. Peccato che non si può, di principio, chiudere il conto di un cliente, senza permettergli di accedere in qualche modo ai suoi averi. Se vengono prelevati per contanti, trasferiti, consegnati mediante assegno, o in qualsiasi altro modo, la banca, e con lei il consulente del caso, corrono dei rischi con la giustizia italiana ed elvetica.

E’ stato fatto presente a Ceriani che vi è un problema serio legato all’obbligatorietà dell’azione penale e, onestamente, il negoziatore di Roma ha ammesso che se un Magistrato italiano dovesse decidere di aprire un procedimento penale a carico di un funzionario ticinese, nessuno potrebbe impedirglielo. Si è poi affrettato ad aggiungere che, a suo avviso, si tratterà di casi rari e che la colpevolezza dell’autore andrà dimostrata. Certo, peccato che già l’apertura del procedimento penale (e non la condanna), possa creare limitazioni e seri problemi all’istituto bancario e al suo funzionario.

Ceriani ha anche sottolineato che l’Italia non è gli Stati Uniti e che non si comporterà allo stesso modo. Bene. Peccato che ad oggi non sia prevista una prassi comune per l’Agenzia delle Entrate italiana, che, va ricordato, ha circa 50’000 dipendenti e ne sta assumendo altri 900 solo per le necessità legate alla voluntary disclosure, il che rende l’idea dello sforzo che sarà fatto. La recente Circolare, attesa da mesi, non ha certo fatto definitiva chiarezza. Senza dimenticare che il Parlamento italiano, nella legge sulla voluntary disclosure, ha depenalizzato solo i reati tributari e non votato una “amnistia” generalizzata per chi si autodenuncia. Inoltre, con le nuove norme italiane, non è affatto certo che in Svizzera si possa rispettare il principio di “non retroattività”. In buona sostanza, si rischia di trasmettere all’Italia dati relativi a atti di consulenza per noi perfettamente legali. Potrebbe essere una conseguenza dell’introduzione del nuovo reato italiano di “autoriciclaggio” (dal gennaio 2015) e della nuova configurazione del reato svizzero di riciclaggio esteso ai proventi di infrazioni fiscali qualificate (probabilmente in vigore al più tardi da gennaio 2016). Ceriani ha ammesso la difficoltà di trovare soluzioni condivise, facendo presente che vi sono aspetti giuridici non ancora approfonditi anche perché la Magistratura italiana non ha preso parte (e non è previsto alcun intervento neanche in futuro) ai negoziati.

Mentre il negoziatore svizzero de Watteville è stato piuttosto silente, Ceriani ha difeso con vigore sia l’accordo siglato che la continuazione dei negoziati in forma di road map. Tutt’altro che diplomatico, per contro, Fulvio Pelli, che, in pochi minuti, ha messo a fuoco le criticità di questi negoziati. Premettendo che dopo 10 anni di discussione sulla doppia imposizione e 3 di negoziati ci si attendeva di più e concludendo che, a suo avviso, in particolare l’accordo sui frontalieri non offre condizioni adeguate per la Svizzera. Se questo nuovo accordo non venisse ratificato (o venisse meno per altri motivi, ad esempio in caso di referendum o introduzione dei contingenti) per Pelli “meglio così, almeno potremo finalmente disdire l’accordo risalente al 1974, la tassazione dovrà essere uguale per gli italiani che lavorano in Italia e per i frontalieri che lavorano in Svizzera, e finalmente vi sarà equità e rispetto delle norme dell’OCSE”.

Dopo quattro ore di dibattito, molte informazioni assimilate, diverse le posizioni sentite, una preoccupazione rimasta, e, anzi, ancora più accentuata di prima: quelli che prima erano patrimoni da gestire ora sono bombe a orologeria. Il passato diventerà un passivo, quanto al futuro…

Natalia Ferrara Micocci, avvocato, candidata PLRT al Consiglio di Stato