Vecchie storie pepate di Corsi e di Ppd

Questo è un articolo interessante, che lascerà il segno (“pigrizia” e “tedio” sono stati superati in quel di Rovigno). Perché non è il solito ammasso di balle grondanti bolsa (e ipocrita) retorica ma contiene tutt’una serie di fatti.

La vexata quaestio della SSR SRG (arricchita dell’intermezzo boccaccesco Regazzi-Würth, che non è superiore per drammaticità alle stragi dell’ISIS) continua a tener banco, dopo il magistrale articolo dell’avv. Tito Tettamanti (cattivello anzi che no ma, come dicono a Roma, quanno cce vo’ cce vo’). Dicevo a una mia amica, una donna importante: “La figura l’hanno fatta ma il malloppo, per il rotto della cuffia, l’hanno messo in cascina”.

Sperare che capiscano? È più probabile che il Lugano di Zeman vinca la Champions League. Adesso a voi Gianfranco Soldati, per l’occasione in grande spolvero.

Attenzione!NOTA. L’avvocato Luigi Pedrazzini risponde pubblicamente a Savoia con un breve testo pubblicato da LiberaTV, nel quale dice, tra l’altro: “Non ho infatti minimamente contestato che le assemblee della CORSI danno un’immagine lottizzata della Cooperativa. I partiti sono ben presenti e cercano di mettere le mani sul massimo numero di mandati possibili, rispettando comunque regole del gioco democratiche perché le porte della CORSI sono aperte a tutti coloro che ne fanno richiesta”.

È saggio ammettere ciò che è innegabile e l’avv. Pedrazzini saggio è. Divertente la pudìca espressione “dànno un’immagine lottizzata della Cooperativa”. Tende forse suggerire… che l’apparenza inganni?

Sarebbe bello che Pedrazzini rispondesse anche all’articolo del nostro dottor Soldati (che certamente le cose non se le inventa) ma non osiamo sperare tanto.

Rovigno xy (2) y

Rispondendo al coro di critiche piovute sulla SRG in genere e in particolare sulla Corsi il presidente del Comitato del Consiglio regionale di quest’ultima, avv. Luigi Pedrazzini, ha tentato goffamente, potrei dire “uregiattamente”, di confutare l’accusa di lottizzazione politica del Comitato dell’organo di vigilanza sulle attività della RSI. Confutazione demolita da Sergio Savoia con irrisoria facilità, tanto la lottizzazione politica è evidente, manifesta e palese. Irrefutabilmente dimostrata già dal solo fatto che lui, avv. Luigi Pedrazzini, ricopre la carica di Presidente del Comitato del Consiglio regionale della Corsi.

Ho rinunciato a commentare su “Ticinolive” gli argomenti addotti dal “Coordinatore” dei Verdi, promettendo però di portare a conoscenza di chi avrà la pazienza di leggermi qualche mia esperienza in fatto di Corsi e dell’attuale Presidente del suo Comitato di Consiglio regionale.

Negli anni 70-80 l’ALS, Alleanza Liberi e Svizzeri, di cui sono membro dall’anno di fondazione, 1976, senza esserne stato fondatore ma solo Presidente per 5 o 6 anni, si era molto preoccupata del manifesto, veramente eccessivo sinistrismo della nostra TV cantonale. Sinistrismo perdurante, anche se attenuato negli ultimi anni, dimostrato irrefutabilmente dal fatto che mai un politico definibile di destra ha potuto far parte del Comitato di cui sto scrivendo, né un giornalista definibile di destra ha potuto metter piede a Comano. A tutte le trasmissioni politiche presenziava, sempre preparatissimo ed efficace, bisogna riconoscerlo, Werner Carobbio, ed erano così frequenti, le sue presenze, da indurmi a chiamarlo “erba cipollina di tutti i brodini politici che Comano ci propina”. Presenti erano naturalmente, ma ben più raramente, rappresentanti di altre formazioni politiche, solitamente però dell’area di sinistra dei relativi partiti. Per essere soci della Corsi bastava acquistare una tessera del costo di 100 franchi, valida a vita e subito rimborsata in caso di dimissioni dall’associazione. Ci presentammo in 6 o 7 alla nostra prima assemblea della Corsi. Presidente della Corsi era allora Stefano Ghiringhelli, uomo colto e intelligente, ma scorbutico e un po’ arrogante di carattere, cosa che gli aveva impedito una carriera politica che avrebbe anche meritato. Rampollo di famiglia di alto lignaggio, con fior di abati nell’albero genealogico, era stato collocato a quel posto a titolo di compenso per il fallimento sul piano elettorale, e si vede così che la lottizzazione attuale, che Luigi Pedrazzini, di famiglia altrettanto prestigiosa, tenta scioccamente di confutare, ha origini lontane e tradizioni consolidate. La nostra delegazione, se così posso chiamarla, era capeggiata da Gianfranco Montù, un grande giornalista purtroppo scomparso 5 anni fa, che ha pagato duramente il suo inflessibile “destrismo”, e comprendeva il Prof. Alessandro Lepori, scomparso l’anno scorso, e Elio Bernasconi, giornalista adesso ultranovantenne di una “Gazzetta Ticinese” scomparsa a sua volta da decenni. Sempre presente anche Paolo Camillo Minotti, con il sottoscritto, irregolarmente altri 2 o 3 membri di ALS. Le nostre critiche furono sempre, senza eccezione, respinte dal Presidente con un’arroganza che spiegava la mancanza di suoi risultati nella competizione elettorale, e quando furono oggetto di “democratiche” votazioni furono tutte, senza distinzioni, letteralmente massacrate. Nella democratica Corsi tutti i funzionari, impiegati, tecnici e operai di Comano erano soci senza bisogno di pagare la tessera, si presentavano in corpore e con cieca obbedienza al volere dei “padroni” votavano per alzata di mano, sotto l’occhio vigile di chi era incaricato della sorveglianza.

Insistemmo per 5 o 6 anni, nella vana speranza di poter smuovere qualcosa. Capita l’antifona (eravamo duri di comprendonio, ci vollero 5-6 anni) riconsegnammo le tessere e fummo prontamente rimborsati, la sola cosa di provenienza Corsi che ci abbia mai allietati.

Del Consiglio del Pubblico della Corsi e dell’ombdusman della SRG, Achille Casanova, uomo di semplicità e affabilità commoventi, non parlo, talmente le due istituzioni sono ridicole per assenza del benchè minimo spirito critico da una parte e di equilibrio e onestà di giudizio dall’altra.

Ritorniamo adesso al Comitato del Consiglio regionale della Corsi. Nella legislatura 1991-95 ero in GC per il PPD, che da pochi anni aveva, vergognosamente per me, abbandonato la qualifica di “conservatore”, abbandono ribadito in un rapporto Dino Jauch del 1987 alla cui stesura mi si era impedito di partecipare con argomentazioni piuttosto ridicole anzi che no. I miei rapporti con il presidente del partito, avv. Luigi Pedrazzini, il più giovane membro di tutta la storia del CdA delle PTT (35enne tra 40 o 50 ultrasessantenni, non ricordo esattamente quanti fossero i membri), più per lottizzazione politico-familiare che per meriti indiscussi, erano tesi al punto di essermi visto convocare in sala B del GC per sentirmi dire, testuali parole, che “a costo di mettere a rischio la mia carriera, ma dal PPD ti butto fuori”. A fine legislatura gli risparmiai la fatica, per invischiarmi in un’avventura senza avvenire, quel “Polo” che nelle elezioni dell’aprile 1995 sarebbe “restato al palo senza pelo”. Ma nel 1992 o 1993, non ricordo esattamente, ero ancora nel PPD, membro della Direttiva, convocata a Giubiasco, con la nomina del rappresentante del partito nel Comitato del Consiglio regionale della Corsi come trattanda principale dell’ordine del giorno. Candidato unico era Meinrado Robbiani, sindacalista cristiano-sociale, un gentiluomo come pochi ne ho conosciuti in politica, che godeva e gode tuttora della mia stima. Nel partito vigeva allora, consuetudine da me aspramente criticata, la regola, concordata a suo tempo dalla dirigenza del PPD con Monsignor Don Del Pietro, che i posti nei consigli di amministrazione (un sublimato di lottizzazione, come in tutti i partiti che dispongono del necessario potere) degli enti parastatali (BS, AET, Consorzio smaltimento rifiuti, RTSI ed altri minori), solitamente lautamente remunerati, andavano alternativamente uno a esponenti “meritevoli” del volgo pipidino, l’altro ai prescelti dell’Organizzazione cristiano-sociale di Camillo Jelmini, che contribuiva sì e no con un 10%, al massimo dei massimi con un 15%, a formare l’elettorato del PPD. Mi lasciai così convincere da miei amici profondi conoscitori del partito a porre la mia candidatura in contrapposizione a quella unica di Robbiani, fatto che obbligò la Direttiva alla votazione a scrutinio segreto. In attesa del ritorno in sala degli scrutatori l’atmosfera era elettrica per non dire di più, il nervosismo di Pedrazzini e dei suoi fedelissimi da tagliare con il coltello. All’annuncio del risultato, il presidente del partito balzò in piedi, pallido e tremante, a dare pronto sfogo al suo senso (che non è il mio) della democrazia “non lottizzante”: “Se Soldati entra come rappresentante del PPD nel Comitato della Corsi io dò le dimissioni immediate da presidente del Partito”. Ugualmente dura la reazione di Camillo Jelmini, che vedeva così leso quello che lui riteneva essere un suo diritto, uno a te e uno a me, secondo un accordo più iniquo che no. Preso nella rete di contrastanti sensazioni, da una parte quella di passare per scriteriato fomentatore di dissensi nel partito e dall’altra dalla scarsa voglia di entrare in un Comitato televisivo ricolmo di gente “politicamente, ma non liberamente corretta” (lo era allora e lo è ancora) a litigare in infinite quanto inutili battaglie contro la nebbia, rinunciai alla carica. A rappresentare il PPD nel Comitato Corsi fu per finire delegato il giudice federale Emilio Catenazzi, anche lui un galantuomo come ne scarseggiano in politica, di mite carattere. Suo successore fu poi Meinrado Robbiani, con il quale mi scuso per avergli ritardato la nomina di un paio d’anni.

Gianfranco Soldati