(tratto dalle “Cronache dell’ALS” per gentile concessione dell’Autore)

La (vasta) quarta pagina delle “Cronache” dell’Alleanza Liberi e Svizzeri è regolarmente occupata da un poderoso “Zibaldone” di Paolo Camillo Minotti, che scrive solido e bene, esprimendo idee di Destra. Potrebbe interessare anche ai fedeli lettori di Ticinolive? Io dico di sì.

MinottiNon possiamo fare a meno di fare un accenno al caso FIFA-Blatter, senza entrare nei dettagli della vicenda. Premettiamo subito che non ci è mai importato nulla della FIFA e del suo presidente; e premettiamo pure che se c’è stata corruzione, è giusto in linea di principio che la giustizia faccia il suo corso. Ma quale giustizia? Non ci è piaciuto per niente il modo in cui questo presunto scandalo è arrivato alla ribalta della cronaca: intanto – more solito – con l’ FBI e i procuratori pubblici statunitensi che si arrogano il diritto di indagare in tutto l’universo mondo. Chi gli ha dato il mandato per farlo? Secondariamente fa ridere che gli USA vogliano mettere sotto accusa Blatter e la FIFA, glissando però sulla notoria corruzione imperante nella propria federazione calcistica nazionale. Ed è addirittura rivoltante l’applicazione sfacciata del principio del «pentitismo» fatta dai procuratori pubblici americani: qualsiasi ceffo da galera, purché denunci qualcun altro che si voglia colpire – e anche se il denunciante è più compromesso del denunciato -, ha buone probabilità di vedersi azzerare quasi completamente le pene a suo carico, se non addirittura di ricevere dei premi in denaro, solo perché «ha collaborato con la giustizia».

Si capisce lontano un miglio che in questa operazione vi sono anche evidenti motivazioni politiche: gli USA, in rotta con Putin, mirano a rimettere in discussione l’attribuzione alla Russia dei prossimi mondiali di calcio. Però non si può tacere per 30 anni e svegliarsi all’improvviso e accorgersi che c’è del marcio nella FIFA; non si può tollerare per decenni che i mondiali vengano attribuiti al miglior offerente, fin che ciò avveniva a favore dei propri amici, e poi scatenare una cagnara solo perché l’ultima attribuzione è andata a gloria e soddisfazione del proprio antagonista del momento. Che ci sia potenzialmente corruzione nella FIFA (come in tutte queste grosse organizzazioni internazionali: private o pubbliche) è facile da intuire: rappresentando le federazioni dei 5 continenti, essa è giocoforza lo specchio delle consuetudini imperanti in questo non angelico mondo. Chi fa mostra improvvisamente ora di scandalizzarsene, è ipocrita. Anche i mass-media sono parte del sistema conformistico, e raramente approfondiscono in modo critico gli avvenimenti che – come in questi casi – ci piombano addosso in grande mole e quindi sono difficilmente decifrabili (per mancanza del tempo materiale per farlo) dal cittadino comune. Essi criticano qualcuno quando tutti lo criticano, che è qualcosa di diverso dal vero giornalismo critico….

Il caso Rich ovvero i felici anni ’80….
Come già nei casi che hanno riguardato qualche anno fa alcune banche svizzere, anche nel caso delle accuse contro la FIFA le istituzioni svizzere (in primis il Consiglio federale) hanno dimostrato pronto servilismo nei confronti delle richieste della magistratura statunitense. Come ha affermato Christoph Blocher in un’intervista alla Weltwoche dell’11 giugno u.s., in Svizzera furoreggia ormai lo sport nazionale del cedere alle richiestem provenienti dagli Stati Uniti e dall’UE.

La ex consigliera federale Elisabeth Kopp, in un articolo sullo stesso numero della Weltwoche, descrive da parte sua lo svolgimento del «caso Rich» – il commerciante di materie prime incriminato verso la metà degli anni ’80 dalla giustizia americana – che diede luogo a una prova di forza tra Svizzera e Stati Uniti d’America. Contrariamente a quanto avvenne diversi anni dopo con il caso UBS e di altre banche, il Consiglio federale nel caso Rich non abbandonò quest’ultimo al suo destino o addirittura forzandolo a cedere alle richieste americane. Quando gli USA pretesero dalla Marc Rich & Co. AG, che si era stabilita nel Canton Zugo, la consegna di tutta la documentazione commerciale e finanziaria, il Consiglio federale intervenne risolutamente facendo sequestrare la documentazione e facendo divieto alla ditta di consegnare il materiale agli americani, invocando l’articolo 273 del Codice penale svizzero che incrimina il reato di spionaggio economico. La Svizzera comunicò agli americani che se avevano delle accuse da fare a Marc Rich, dovevano seguire l’iter previsto dai vigenti trattati internazionali di assistenza giudiziaria. Insomma il Governo svizzero (che era ancora un governo serio e non quello dei «sette nani») fece da schermo alla ditta di Marc Rich, difendendo il principio della sovranità svizzera. Gli americani tentarono perfino di far rapire Marc Rich da due poliziotti in civile inviati a Zugo nella sede della ditta; essi furono però arrestati dalla polizia svizzera ed espulsi dal Paese. Il caso fu poi risolto a livello politico: la consigliera federale Elisabeth Kopp condusse delle dure trattative con il ministro USA della giustizia, che era in quel momento Ed Meese, e si addivenne infine alla firma di un «Memorandum of Understanding» che impegnava gli Stati Uniti a rispettare nel futuro in casi analoghi la via prevista dagli accordi di assistenza giudiziaria. Ad accordo siglato Elisabeth Kopp fu pure cortesemente ricevuta alla Casa Bianca dal presidente Ronald Reagan, il quale nelle sue memorie parla di lei come di una «charming young lady»….

L’esperienza mostra: per la Svizzera meglio i repubblicani!
Su questo precedente si possono dire diverse cose: da un lato c’è sicuramente stata – dagli anni ’80 a oggi – un’evoluzione (un indurimento) della posizione delle autorità giudiziarie statunitensi, per vari e noti motivi anche estranee (o trasversali) ai partiti. D’altra parte l’aspetto politico (l’orientamento della Presidenza) può in alcuni casi essere decisivo per il modo in cui una determinata controversia viene affrontata, come dimostra il caso da manuale dell’ affaire Fondi ebraici/banche svizzere; in quest’ultimo caso l’Amministrazione Clinton sostenne le rivendicazioni dei noti ambienti ebraici nuovayorkesi per motivi altrettanto noti (Clinton aveva ottenuto da tali ambienti cospicui appoggi finanziari per la sua campagna presidenziale del 1992 e del 1996; egli non poteva quindi opporsi a una campagna contro le banche svizzere che in sostanza rappresentava una delle contropartite di tali appoggi e doveva permettere di far «recuperare» questi esborsi ad alcuni dei suoi finanziatori). Ronald Reagan aveva una posizione un po’ più indipendente da questo punto di vista, per prima cosa perché era stato eletto e poi rieletto con un vasto sostegno, e quindi dipendeva meno da singole lobbies. Eppoi perché in coerenza con la sua dottrina liberista non poteva sposare troppo sfacciatamente «campagne protezioniste» contro ditte estere concorrenti delle americane… Va anche detto che il costo delle campagne presidenziali americane va viepiù crescendo e sta facendo giocoforza diventare i Presidenti USA fortemente ricattabili da determinati interessi interni e esteri.

Questo ci induce a fare una proposta (un po’ arrischiata ma non totalmente campata in aria): le grandi multinazionali svizzere attive negli Stati Uniti dovrebbero forse appoggiare massicciamente nella prossima campagna presidenziale il candidato repubblicano. Naturalmente questa scelta non può essere presa a priori; vanno valutati quali siano i possibili candidati, da quali interessi sono mossi e chi di loro dia maggiore affidamento per una applicazione equa dello stato di diritto e del libero mercato ; e vanno altresì valutati i rischi di tale endorsement (in sostanza: i rischi che il candidato sostenuto venga sconfitto). Ma, nella fattispecie, avendo conosciuto il marito Clinton, certamente la moglie non dà migliore affidamento… in quanto appartengono alla stessa combriccola (e Obama non è stato certo meglio, anzi): dunque «l’avversario del mio avversario è il mio amico ». Ancorché non si voglia essere così buonisti e «ciòla» da non rendersi nemmeno conto o da non volere ammettere e chiamare per nome chi ci ha giocato pesantemente contro ! D’altra parte il presidente Obama ha talmente deluso anche molti suoi sostenitori iniziali, che nelle prossime elezioni dovrebbe essere probabile la vittoria del candidato repubblicano.

Una buona notizia: nel Ticino No alla legge sulla radiotelevisione
Una notizia inaspettata ci è giunta nella serata di domenica 14 giugno scorso: la legge sulla radiotelevisione, che prevedeva la perennizzazione del canone trasformandolo da canone d’uso a tassa generalizzata obbligatoria anche per chi non guarda mai la televisione, è passata per un soffio : 50,1 percento di Sì e 49,9 di No. E solo grazie alla massiccia approvazione nella maggior parte dei Cantoni romandi e (a debolissima maggioranza) nei Grigioni. In Svizzera tedesca e nel Ticino la riforma è stata respinta. È stata una grande sorpresa, perché l’accettazione della nuova legge era data per scontata e con largo margine: la propaganda della SSR e del Consiglio federale era stata martellante, la strumentalizzazione delle regioni linguistiche minoritarie a sostegno del centro di potere SSR lasciava presumere un «voto etnico» di Romandia e Ticino a favore della proposta, e soprattutto la perfida astuzia dei legislatori federali aveva escogitato plurimi inganni per accalappiare i cittadini votanti: in primo luogo la diminuzione momentanea della tassa – con però pieni poteri in futuro al C.F. di aumentarla a piacimento -; poi l’assoggettamento delle imprese (che non possono votare); e dulcis in fundo l’ «acquisto» del voto favorevole delle radio e televisioni locali private tramite l’aumento della quota-parte del canone a loro destinata (il sistema di acquistare i voti di Matteo Renzi – vedasi i famosi «80 euro» – ha fatto scuola anche da noi….). Non è stato per nulla un bello spettacolo: la lega coalizzata dei succhiatori di sussidi della Confederazione è riuscita a prevalere per uno 0.2 percento.

Un ruolo non molto edificante l’ha avuto pure il consigliere agli Stati Filippo Lombardi, patron di Teleticino (che si è pure vantato di essere stato decisivo per la «vittoria»), ma il 52 percento di No nel Ticino alla proposta del C.F. è stato uno sonoro ceffone anche per il Consigliere agli Stati che a Berna lavora alacremente – oltre che per gli interessi del Ticino – anche pro domo sua. Lo schieramento delle radio e televisioni private dalla parte della SSR, anziché dalla parte degli editori privati di giornali (penalizzati dalla concorrenza sleale SSR sul mercato internet), è stato un atto di una disinvoltura considerevole. Alcuni politici si sono detti sorpresi del voto del Ticino, definendolo pericoloso (per lo status privilegiato della RTSI nell’ambito di SSR). Personalmente ne siamo invece fieri, perché i ticinesi hanno votato sui princìpi e sui contenuti di quanto gli è stato sottoposto, e non per una malintesa convenienza. Chapeau a quei cittadini che non considerano la Confederazione (e i propri concittadini) una vacca da mungere e che non votano Sì o No solo perché questo ha come conseguenza un aumento dei sussidi federali al loro Cantone!

E nel Ticino spazzàti via gli eco-incentivi!
Nel nostro Cantone si votava anche su due temi cantonali: l’iniziativa dei Verdi «Salviamo il lavoro in Ticino» per l’introduzione di un salario minimo per categoria e l’aumento delle tasse di circolazione per erogare degli «eco-incentivi » a chi volesse acquistare un’auto elettrica. La prima proposta è stata accettata, mentre la seconda è stata silurata dai cittadini votanti, che non l’hanno ritenuta giustamente una priorità nell’agenda politica. Di motivi per dire No ce n’erano a iosa: l’efficacia di una tale misura di incentivazione era già in linea generale molto dubbia, perché in definitiva si arrischiava di sussidiare il cambio della macchina a chi l’avrebbe comunque prima o poi cambiata. Inoltre si favoriva in sostanza una categoria minoritaria già privilegiata (in specie quelle famiglie in possesso di almeno 2 macchine), perché l’auto elettrica è poco performante per chi la deve usare come prima macchina. Inoltre l’effetto sulle emissioni inquinanti sarebbe stato trascurabile e quello sul traffico nullo. Se si vogliono diminuire gli ingorghi stradali e l’inquinamento vi sono mezzi più efficaci all’uopo: incentivare i trasporti pubblici e il car-pooling o car-sharing (in specie i trasporti aziendali per frontalieri); quindi bisogna concentrarsi su queste ultime misure, anche perché le poche risorse finanziarie a disposizione impongono di fare delle scelte prioritarie. Un plauso vada ai Giovani Liberali Radicali e ai Giovani UDC che avevano promosso il referendum contro tale insensata misura di distribuzione a pioggia di sussidi pubblici.

Paolo Camillo Minotti