Parkinson 5Essendo sempre più marcata e generalizzata la ricerca dell’ultima novità, dell’ultima moda e la tendenza di scartare come vecchie e inutili cose e idee di qualche anno fa, sussiste sempre di più il pericolo di scartare anche cose e idee molto valide ed attuali, semplicemente perché sono state fatte o espresse anni o decenni prima da persone lungimiranti. Questo rimpicciolimento della memoria storica rischia di distruggere la nostra cultura. Un’opera che costituisce un gioiello della letterature di scienza politica, ma che, purtroppo, rischia di cadere nel dimenticatoio e che perciò vale la pena di riproporre periodicamente è proprio il libro di Northcote Parkinson “La legge di Parkinson”.

Parkinson 2La postfazione di Giancarlo Livraghi che ha curato la nuova edizione italiana qualche anno fa, contiene una valutazione a mio parere molto azzeccata di quest’opera:

“Questo è un libro scomodo. Irrita i teorici per il suo stile poco “accademico”, dispiace agli agiografi per la sua irritante satira, è sgradito ai potenti e ai prepotenti perché dice troppe sgradevoli verità. Era “importuno” anche cinquant’anni fa, ma ora è troppo facile “dimenticarlo”, con la scusa che è vecchio – o che, per alcuni aspetti, riguarda in particolare la situazione in un solo paese. Invece è più che mai di attualità. Ed è uno di quei rari libri che hanno l’insolita capacità di approfondire argomenti complessi trattandoli con lucida semplicità – e con una notevole dose di umorismo. Cosa che lo rende ancora più antipatico a chi manca di quelle doti essenziali che sono l’autocritica e l’autoironia.

… Ma la sostanza è valida comunque e dovunque. Con alcuni peggioramenti che neppure un energico critico come Cyril Northcote Parkinson poteva prevedere. Era un libro fastidioso, irritante, sconcertante all’epoca della sua prima pubblicazione. Lo è ancora di più nella situazione di oggi.

Parkinson descriveva le disfunzioni provocate da un continuo – quanto inutile – allargamento delle strutture, con una crescente complicazione dei rapporti interni. E spiegava come un’organizzazione possa essere impegnata a tempo pieno a comunicare (spesso male) solo con se stessa, senza produrre alcuna attività significativa per il mondo esterno.

Oggi quei problemi rimangono, ma il quadro è ancora più complesso. In un’epoca in cui le riduzioni di personale sono un frequente strumento per far crescere i profitti di breve periodo (e le imperversanti fusioni, acquisizioni o concentrazioni si traducono, quasi sempre, in “tagli” di struttura) accade anche il contrario: cioè che le dimensioni delle organizzazioni si riducano per motivi non funzionali – e troppo spesso senza correggere il sovraccarico di apparati inutili e ingombranti.

Per uscire da questa catastrofe di idiozia (e per non ricaderci troppo facilmente) può aiutarci l’ironica saggezza delle “leggi di Parkinson”. Estirpare il contagio non è facile. Ma con un po’ di buon senso (e, per quanto possibile, anche di buonumore) è necessario – almeno – capire quanto sarebbe stupido continuare a ripetere gli stessi assurdi errori.”

Parkinson 1Godiamoci ora i paragrafi più significativi del primo saggio intitolato “La legge di Parkinson o La piramide crescente”:

“Che qualsiasi lavoro (specie se burocratico) richieda tempi molto variabili è … assodato. Ma per capire appieno le implicazioni di questo fatto bisogna rendersi conto che fra un compito da svolgere e la numerosità dello staff che se ne deve occupare non c’è praticamente alcuna relazione.

Politici e contribuenti hanno ritenuto (pur con qualche occasionale momento di dubbio) che la crescita del numero di pubblici impiegati fosse la conseguenza dell’aumento del carico di lavoro. Dal canto loro, i cinici che hanno messo in discussione questa credenza si sono convinti che la moltiplicazione dei funzionari abbia piuttosto consentito ad alcuni di questi ultimi di cullarsi nell’ozio, oppure a tutti di lavorare meno.

In questo dibattito, tuttavia, la fede e il dubbio sembrano equamente malriposti. Il fatto è che non c’è alcuna relazione fra il numero degli addetti e la quantità di lavoro da fare. Come spiega la legge di Parkinson, la crescita dei dipendenti di una struttura sarebbe la stessa anche se il carico di lavoro dovesse aumentare, diminuire o addirittura sparire del tutto. L’effettiva importanza della legge di Parkinson sta nel fatto che studia la crescita del numero di lavoratori basandosi sull’analisi dei fattori che, appunto, influenzano questo accrescimento.

Senza entrare negli aspetti tecnici (che pure non sono pochi) possiamo in primo luogo rilevare, n chi lavora per strutture complesse, l’intervento di due particolari spinte motivazionali. Per quanto ci interessa, possiamo esprimerle in due affermazioni quasi assiomatiche:
1) un funzionario vuole moltiplicare i propri subordinati e non i propri rivali;
2) i funzionari generano lavoro (inutile) l’uno per l’altro.

Per capire il fattore 1) dobbiamo immaginare la situazione di un dipendente pubblico che chiameremo A, convinto di essere sovraccarico di lavoro. Che questo sovraccarico sia reale o immaginario non rileva ma, en passant, dobbiamo osservare che la sensazione (o illusione) di A potrebbe facilmente derivare dal cominciare a perdere colpi: un normale sintomo della mezza età.

Parkinson 3In termini generali, tre possono essere i rimedi per questo sovraccarico di lavoro (immaginario o reale che sia). Egli potrebbe dare le dimissioni, potrebbe dividere il lavoro con un collega chiamato B, oppure potrebbe chiedere l’assistenza di due subordinati, C e D. Nella storia non risultano esempi di un qualsiasi A che abbia mai scelto qualcosa di diverso dalla terza opzione. Dimettendosi – è l’ipotesi 1) – egli si giocherebbe la pensione. Coinvolgendo B che si trova al suo stesso livello gerarchico – ipotesi 2) – avrebbe soltanto dato spazio a un potenziale concorrente per la promozione al posto di W (il superiore di A e B), che si libererà quando anche W, alla fin fine, dovrà ritirarsi. Dunque A preferirà piuttosto avere due assistenti, C e D. Essi diventeranno parte del suo flusso di attività e, dividendo in modo impermeabile i compiti tra C e D, egli avrà il merito di essere l’unico a sapere cosa stia effettivamente accadendo.

In questa fase dell’analisi è fondamentale comprendere che C e D sono, e non potrebbe essere diversamente, inseparabili. Nominare soltanto C sarebbe stato impossibile. Perché? Perché così facendo, C da solo avrebbe dovuto dividere il lavoro con A e avrebbe quindi acquisito più o meno quello stesso status che prima era stato negato a B; uno status che avrebbe ancora maggior rilevanza se C fosse l’unico successore possibile di A. I subordinati devono quindi essere almeno due (o più) e mantenuti sotto pressione dalla paura che qualcun altro possa essere promosso al posto loro.

Quando – ed è solo questione di tempo – C comincerà a lamentarsi di essere sopraffatto dal lavoro, A con il supporto di C chiederà due assistenti per aiutare quest’ultimo. Ma nello stesso tempo A, per evitare attriti interni, dovrà preoccuparsi di suggerire la nomina di altri due assistenti a supporto di D che versa in condizioni analoghe a quelle di C. Con l’assunzione di E, F, G e H, la promozione di A è oramai cosa fatta.

Ora, sette funzionari svolgono il lavoro che in origine era gestito da uno solo. Ed è a questo punto che entra in gioco il fattore 2). I sette collaboratori sono così impegnati a lavorare fra di loro da non avere tempo per altro; dunque A dovrà lavorare più duramente di prima, come dimostra l’esempio che segue.

Una pratica da evadere potrebbe atterrare senza una regola particolare sulla scrivania di uno qualsiasi dei suoi collaboratori, diciamo il funzionario E. Questi decide che la questione è competenza di F, che spedisce a C una bozza di risposta. C la modifica pesantemente prima di incontrare D, che a sua volta chiede a G di occuparsene. Ma – coincidenza – è proprio il momento delle ferie di G, il quale inoltra il documento ad H, che prepara una minuta firmata poi da D e restituita a C, che apporta al testo le modifiche concordate, predisponendo quindi la nuova versione da sottoporre finalmente ad A.

E cosa farà A, a questo punto? Di certo avrebbe ogni ragione per approvare il documento senza neanche leggerlo, visto che gli passa per la testa un mare di altre cose. Avendo saputo che l’anno successivo prenderà finalmente il posto di W, deve porsi il problema di scegliere il proprio successore fra C e D; ha dovuto concedere le ferie a G anche se quest’ultimo non aveva, a stretto rigore, il diritto di farlo.

E ancora, si chiede preoccupato, al contrario, se non fosse stato il caso di dare un po’ di riposo ad H per ragioni di salute – da qualche tempo, infatti, ha un brutto colorito e non solo per i suoi problemi familiari. Poi bisogna valutare la questione dello straordinario di F, da corrispondergli per l’intera durata della conferenza, e la richiesta di trasferimento di E, che vuole andare a lavorare al Ministero dell’assistenza sociale. D è invischiato in una relazione con una dattilografa sposata – almeno così dicono i pettegolezzi dell’ufficio – mentre G ed F, nessuno sembra sapere il perché, non si rivolgono più la parola.

Quindi A potrebbe essere tentato di firmare la bozza di C senza tergiversare oltre e chiudere così la questione. Ma A è una persona coscienziosa. È assalito senza tregua dai problemi che i suoi collaboratori hanno creato a loro stessi e a lui (provocati dalla semplice esistenza di questi funzionari).

Non è certamente il tipo che si tira indietro di fronte alle proprie responsabilità: legge con attenzione il documento, cancella i pedanti paragrafi aggiunti da C e H, e ripristina la forma che il competente (ma causidico) F aveva usato in prima stesura. Poi dà una sistemata all’inglese – nessuno di questi giovani è in grado di usare le regole della grammatica – e finalmente ottiene il documento che avrebbe scritto se C e H non fossero mai venuti a lavorare alle sue dipendenze.

Parkinson 4Per raggiungere lo stesso identico risultato ci sono volute molte più persone e molto più tempo. Nessuno è stato con le mani in mano o le braccia conserte. Tutti hanno fatto del loro meglio. In compenso è stato sprecato un mare di tempo in lavoro inutile prima che A abbia potuto lasciare il suo posto di lavoro e cominciare il viaggio di ritorno verso [casa]. Le ultime luci dell’ufficio si spengono nel tramonto incipiente, che segna la fine di un altro massacrante giorno di burocrazia. Fra gli ultimi ad andare via, A – spalle curve e sorriso amaro – medita sul fatto che il “tirare tardi”, come i capelli grigi, è una delle punizioni riservate a chi ha successo. Da questa descrizione delle forze in gioco lo studioso di scienze sociali dovrà concludere che funzionari e assistenti sono necessariamente costretti alla moltiplicazione.

Ancora una volta, è bene tenerlo a mente, questo risultato non avrà alcun valore politico. E non si evidenzierà mai abbastanza come la legge di Parkinson sia una pura scoperta scientifica, inapplicabile, se non in teoria, alla politica di oggi.

Non è compito del botanico sradicare le erbacce. Per quanto lo riguarda, ha già raggiunto un risultato se è in grado di dirci quanto rapidamente crescono.”

Vale la pena concludere con una famosa citazione di George Santayana:

Chi non impara dagli errori del passato è condannato a ripeterli.

historicus