leopardoIl critico Desio Rivera, che Ticinolive ringrazia per il suo splendido e competente contributo, esprime in quest’ultimo articolo alcune sue considerazioni finali sul festival.

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Ieri parlavo con i proprietari di un noto ristorante situato vicino all’entrata principale della Piazza. Vista la posizione è “inondato” dal pubblico festivaliero, compresi i professionisti e accreditati. Parlando con loro, beneficiari assoluti di un aumento considerevolissimo della loro cifra d’affari in questi giorni di festival, ho appreso che vedono il Festival di Locarno identico a quello di Berlino o Cannes. Visto quello locarnese, immaginano che gli altri siano la stessa cosa, specialmente dal lato apertura verso il pubblico e conseguente reddito aggiunto alle strutture locali (bar, ristoranti, alberghi ecc.).

Desio-RAllora, come l’ho raccontato a loro, cerco di esporre anche qui la “differenza” fondamentale. L’apertura popolare, esiste solo qui, a Locarno. Sia a Cannes che a Berlino l’avvenimento culturale, l’incontro intellettuale e creativo, la voglia di scambiare opinioni e considerazioni sulla cinematografia, “l’avvenimento” insomma, è rigorosamente ristretto ad un pubblico di professionisti (dai distributori ai giornalisti, giù fino ai proprietari di sale cinematografiche, e basta). Anche a Cannes e a Berlino vi sono delle proiezioni per il pubblico, ma solamente quelle del concorso internazionale, non certo di tutte le sezioni, come qui da noi. Quello che vedete in televisione, quando mostrano gli avvenimenti di Cannes e Berlino, quando c’è la sfilata degli attori e dei registi che si incamminano verso la sala di proiezione, quelli del tappeto rosso, non ha la partecipazione pubblica come qui a Locarno. La “gente” è ammassata ai bordi a sognare e rimane fuori. In sala, entrano solo pochi eletti, a prezzo carissimo, obbligati da un “dress code” severissimo: abito da sera – obbligatorio farfallino/smoking – per gli uomini, abito lungo e elegantissimo per le donne. Alcuni dei film di Berlino e Cannes passano anche nelle sale di cinema locali, con il prezzo del normale biglietto. Ma non è accessibile al pubblico il “Filmpalast” o il “Palais du cinéma” che, per capirci, sarebbero il nostro Fevi.

Gli accreditati al festival (stampa, distributori, ecc.) non possono presentarsi tranquillamente a caso davanti alle sale dove vengono proiettati i film del concorso come qui a Locarno. Per vederli sono costretti a levatacce quotidiane. Devono andare a ritirare, per i film che loro interessano, i biglietti di entrata. Gratuiti, ma li ottengono solo coloro che hanno l’accreditamento al festival. E, per ottenerlo, questo accreditamento, non si pagano i simbolici fr. 30.- come qui a Locarno ma molto, molto di più.

Ciò permette agli organizzatori del festival di concentrarsi completamente sulla loro offerta culturale. I politici e le personalità invitate, così come il pubblico di accreditati, hanno una visione assolutamente non distratta e giustamente rispettosa delle scelte del festival su quella parte (importante) di cultura che è la cinematografia.

Qui in Ticino, invece, il festival prende un’aria “popolare” e di festa del cinema che solo da noi possiamo godere.

Ed è in questa cultura offerta a tutti che, qui in Ticino, alcune persone, alcuni politici, alcuni direttori di giornale credono che per questo il festival loro appartenga, che possano “manipolarlo”, che sia permesso imporgli le loro visioni personali. Finanziata con i soldi del Cantone, dicono quasi sdegnati, facendo credere che, pare di capire, tutti, pure loro, possano influenzare le scelte di questa “macchina del cinema” che vorrebbero pure loro guidare… senza patente, naturalmente. Chi di loro dedica la vita e l’attività solamente all’amore per il cinema, come si respira qui al festival di Locarno?

Ma la popolarità (nel senso di essere vicina al popolo) di Locarno è una meravigliosa opportunità per noi ticinesi. La cultura che il festival crea si apre riversandoci stimoli al cervello. La mente si apre su tematiche fondamentali che stavano lì, sulla punta della lingua, ma che solamente il festival, con i suoi film da tutto il mondo, concretizza in parole e discussioni. In voglia di conoscere l’altro. E’ questo che fa la differenza. Non avvenimento di nicchia ma di massa. Per questo esposto a critiche anche feroci e sterili (per l’evoluzione di una cultura cinematografica) che, mi domando, a chi giovano. Senz’altro, questo anno, alla manifestazione parallela del Rivellino: 500 persone (pare) a vedere il film Noun non ci sarebbero mai state senza questa polemica. Visto che questa manifestazione parallela è gratuita, non penso che portare lì spettatori fosse lo scopo, ma ne è stato il risultato.

Se questa polemica sulle scelte del Festival valesse la pena di farla, lo dirà il pubblico, quello pagante, quello che va al cinema, come è giusto.

Il Palmarès di questo anno premia i film (concorso internazionale da me recensito) che ho apprezzato maggiormente, giuria molto in sintonia con i miei gusti:

Jigeumeun Matgo Geuttaeneun Teullida (Right Now, Wrong Then) di Hong Sangsoo, Corea del Sud – da me giudicato “un gioiello”

Tikun di Avishai Sivan, Israele – l’ho definito “un’intelligente satira sui rituali religiosi decisamente ben fatta, un bianco e nero strepitoso”

Cosmos di Andrzej Zulawki, Francia/Portogallo – “godetevelo, tutto da gustare” dicevo nella mia recensione

e  Happy Hour di Hmaguchi Ryusuke, Giappone, quello che dura più di 5 ore, io ero “sfuggito” ma, sembra, con dialoghi così ben fatti da meritare una menzione speciale per la sceneggiatura: le “chiacchiere” di 4 donne che parlano di se stesse… con le parole costruite dal regista e 3 sceneggiatori… tutti maschi!

Al prossimo anno!

Desio Rivera