Palazzo federaleUn articolo come questo è interessante di per sé, ma lo sarebbe ancor più se fosse contestato e controbattuto, meglio se a muso duro. Di primo acchito mi vien da pensare che difficilmente Lombardi e Abate possano accettare certi giudizi e certe affermazioni del dottor Soldati.

Quanto al “senatore” del partito di Darbellay, egli non ha perso il potere di stupirmi. Adesso esclama melodrammaticamente, come fosse Arnoldo di Winkelried: “Hanno pugnalato de Watteville!”

Mai avrei pensato che tenesse tanto a realizzare compiutamente il 9 febbraio. Come ci si può sbagliare! Agosto gli giova, e il settembre sarà migliore.

POST SCRIPTUM. Mi sono permesso recentemente di rivolgergli una semplice domanda: in dicembre Lei voterà la riconferma di Eveline Widmer Schlumpf ? Non mi è arrivata (sinora) alcuna risposta. La domanda gli sarà sfuggita.

soldatiChe i ticinesi il prossimo 18 ottobre debbano (ma qui il condizionale sarebbe preferibile), se non vogliono essere incoerenti, inviare a Berna una netta maggioranza di parlamentari euroscettici, non fa una grinza. Da questo punto di vista ai candidati incomberebbe l’obbligo di chiarire pubblicamente la loro posizione. Tra di loro ci sono parecchi eurofili, convinti che l’integrazione nell’UE sarà il nostro destino e la nostra salvezza. Sanno benissimo che è un’opinione, pur legittima quant’altre mai, che se espressa onestamente nel Ticino attuale conduce ad un’importante perdita di consensi.

Dei tre competitori alla Camera alta (gli altri sono solo contorno), il dott. Ghiggia si è espresso compiutamente, l’uscente Fabio Abate è eurofilo, sicuro del sostegno degli elettori euroscettici ma incoerenti del suo partito, che non mancherà, e di quello ancor più sicuro della sinistra. Vedremo se il tutto basterà. Filippo Lombardi ha tentato di far chiarezza con un articolo sul CdT il 5 agosto. Una chiarezza nebulosa, direi. Avrebbe votato, il fatidico 12 dicembre 2007, con ben altri 11 deputati PPD, a favore di Blocher. Quel giorno il PPD di Christophe Darbellay (presidente e primo orditore della congiura contro Blocher) e Urs Schwaller (capogruppo, aspirante all’esecutivo federale) poteva contare su 35 consiglieri nazionali e 16 consiglieri agli Stati. Quasi un quarto dei suoi parlamentari, quindi, si sarebbe sottratto alla disciplina di partito su un tema così importante, tale da scatenare il cataclisma che la mancata rielezione di Blocher ha poi provocato. Poco credibile, ma se lo dice Lombardi va bene così. Un simile voto sarebbe comunque uno smacco sia per il presidente che per il capogruppo PPD, che ricordo benissimo, e dovrei dire indelebilmente, di aver visto entusiasti e sghignazzanti alla notizia dello scacco matto a Blocher. Lombardi constata poi che i 12 voti democristiani favorevoli a Blocher furono in pratica annullati da altrettanti voti sfavorevoli da parte di «ribelli» liberali. Potrebbe esser stato così. Tra di loro c’era, ne sono certissimo, Fabio Abate.

Darbellay è stato (oramai è agli sgoccioli della carriera) un presidente di quelli che si possono augurare solo ai propri nemici. È assurto alla carica troppo giovane, assolutamente privo della sola cosa che non si può insegnare né lasciare in eredità: l’esperienza. La congiura contro Blocher è costata cara a lui e al partito. Che sia costata cara a lui lo dimostra il fatto che, candidato al Consiglio di Stato in un Cantone «uregiatt» fin sopra le orecchie (il Vallese), tre anni dopo l’affare Blocher, da presidente nazionale in carica del partito, è stato sonoramente sconfitto da un (quasi) qualsiasi Jean-Michel Cina, uomo ben più moderato in termini di antiblocherismo. Per credere che danneggiato, e gravemente, è stato anche il partito, basta pensare che Blocher, con un partito del 25% ha vinto una quantità di iniziative e referendum, e quelli che ha perso li ha persi vicino al 50%. È quindi provato che la politica di Blocher ha sempre avuto un sostegno attorno al 25% di cittadini di altri partiti, tra i quali sicuramente decine di migliaia di elettori del PPD-CVP, in buona parte già scontenti della virata a sinistra del partito a partire dagli anni ’70. Per loro la congiura diretta da Darbellay contro Blocher è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Allora PPD e PLR erano all’incirca allo stesso livello. Urs Schwaller godeva fino a quel momento di ampie simpatie nell’UDC, avrebbe potuto aspirare al CF come secondo eletto PPD nel 2011, ma pagò la sua partecipazione alla congiura, e fu costretto in pratica a seppellire le ambizioni alla massima carica politica svizzera.

Cosa abbiano votato nel dicembre 2011 Lombardi e i suoi 11 compari (almeno quelli ancora presenti in Parlamento) non lo sappiamo, e lui si è guardato bene dal dirlo. I sospetti sono leciti, viste le manovre, durate poi mesi, e non pochi, per fondersi con il partitucolo della Giuda in gonnella. E cosa voterà il 18 ottobre nessuno glielo chiede, visto che i consiglieri agli Stati hanno diritto al segreto delle urne esattamente come tutti i comuni cittadini.

Anche dopo lettura (e rilettura) attenta dell’articolo di Lombardi sul CdT rimane sconcertante l’adesione del senatore a quel comitato di cervelli sopraffini che vogliono far annullare l’esito della votazione del 9 febbraio 2014. Si afferma che la libera circolazione delle persone in UE non si può mettere in discussione. Neanche la Svizzera può metterla in discussione, se a dirigere le trattative si delegano Burkhalter e Sommaruga e a trattare si mandano funzionari euroforici.

Se si volesse veramente trattare nel senso deciso dal popolo i diplomatici svizzeri, e con loro quelli europei, non faticherebbero a trovare una falsificazione semantica o un qualsiasi marchingegno per aggirare l’ostacolo. L’Europa è capace di rianimare un cadavere come la Grecia, defunto fin dal 2010, immaginiamoci se non sarebbe capace di sopportare un paio di decine di migliaia di liberi circolanti in meno in Svizzera. Potrebbe farlo facilmente, magari inviando anche a noi qualche decina di miliardi di euro che Draghi stampa secondo necessità, con allegra e giuliva spensieratezza.

Un’altra constatazione si impone: concerne le presenze in Consiglio degli Stati di un partito sceso dal 15 al 12%, il PPD, e di uno rimasto praticamente sul posto al 26%, l’UDC. Nella legislatura 2003-2007 (quella che terminò con l’esautorazione di Blocher) il PPD contava su 43 parlamentari, di cui ben 15 agli Stati. L’UDC ne aveva 64, di cui solo 8 agli Stati, in pratica il doppio dei voti nel popolo, ma metà di eletti nella Camera alta. Nella legislatura 2007-2011 il PPD disponeva di 51 eletti (un bel progresso, solo in parte dovuto all’aumento della popolazione), sempre con 16 senatori. L’UDC contava 68 eletti, solo 7 agli Stati, meno della metà del PPD. Nella legislatura attuale siamo a 44 eletti per il PPD, con 13 agli Stati: un regresso pauroso, tenendo conto che ci sono 2 evangelici e 2 CST (Oberwallis e Obwalden). L’UDC ha 63 deputati, di cui 2 Lega e l’indipendente Thomas Minder, quello dell’iniziativa «Abzocker» contro gli emolumenti faraonici di certi manager.

I senatori sono solo 6, ancora meno della metà di quelli del PPD. Come mai questa discrepanza tra i pochi voti ed i tanti senatori per il PPD e i molti voti e pochi senatori per l’UDC? La spiegazione è semplice: quando in lista sono un uomo della sinistra e un democentrista gli elettori dei partiti cosiddetti borghesi scelgono la sinistra. Quando in lista con il democentrista sta un uomo del PPD tutta la sinistra dà la preferenza a quest’ultimo. Agli elettori queste manovre non piacciono. Si spiega così, almeno parzialmente, il declino dei due partiti detti a torto «borghesi». Difendere la borghesia non va più di moda.

Adesso il PLR (almeno quello nazionale), pur tra esitazioni e ondeggiamenti, si è riavvicinato all’UDC-SVP. Si spiegano così, credo, i recenti successi elettorali del partito. Come credo che la troppa vicinanza alla Giuda in gonnella costerà ancora cara al PPD-CVP, malgrado i recenti e pietosi suoi sforzi, con solo scopo elettoralistico, di fingere di appoggiare la politica dell’immigrazione dell’UDC. La sera del 18 ottobre potremo verificare la fondatezza o meno di questi pensamenti o congetture che dir si voglia.

Gianfranco Soldati

(già pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore)