Burkhalter-2Ha suscitato stupore la decisione del CF di affidare ad una signora (sostituita dopo la sua rinuncia dall’attuale caponegoziatore De Wattewille) il comando della delegazione elvetica che dovrà negoziare a Bruxelles una revisione dei trattati bilaterali, tenendo in considerazione la decisione popolare del 9 febbraio 2014. Sinora il “grande capo” dei nostri negoziatori era sempre stato Yves Rossier, un superburocrate energico, intelligente e eurofilo, quindi pericoloso quant’altri mai per chi di annessione della Svizzera all’UE non vuol sentir parlare. Rossier era, fino a poche settimane fa, il braccio destro del nostro ministro degli Esteri, tutti e due arciconvinti che all’adesione incondizionata all’UE non ci siano alternative. Il ministro si è reso conto che la maggioranza dei cittadini il rospo dell’adesione non lo vuole inghiottire: per convincerla deve quindi agire in modo surrettizio e tentare di far credere di essersi adagiato alla chiara volontà popolare. soldatiIl maggior ostacolo che Burkhalter incontra nel suo proposito inalterato di condurci a Bruxelles (prima di lui questo compito se lo era già imposto, la sera del 6 dicembre 1992, Jean-Pascal Delamuraz) è che l’entrata nel mercato comune comporterebbe l’obbligo di accettare giudici stranieri. Fosse il caso, si assisterebbe ad una sollevazione popolare. L’errore fatale di Rossier è proprio stato quello di dichiarare apertamente che senza giudici stranieri le trattative non avanzano. Lo scopo del ministro essendo e rimanendo quello dell’adesione ottenuta con tatticismi verso il proprio popolo, se il negoziatore (e il popolo) si pone di traverso, si cambia il negoziatore, visto che non si può cambiare il popolo. [Il popolo non si può cambiare ma, in certe occasioni, si può turlupinare, ndR]

Grazie ad una mozione inoltrata nel 2013 dall’UDC-SVP il Consiglio nazionale ha chiaramente definito, dopo quasi due anni di tergiversazioni, le condizioni “sine qua non” per le trattative:

1. A Bruxelles si deve ricordare che la Svizzera è uno stato indipendente. La Svizzera non vuole venir integrata nell’UE né in modo diretto né indiretto (112 sì contro 78 no in Consiglio nazionale; PS, verdi, verdi liberali, borghesi democratici di EWS compatti, 7 PPD-CVP e una sola liberale, la ineffabile Christa Markwalder, nessun ticinese salvo la socialista tra i no).

2. I rapporti della Svizzera con l’UE sono basati su trattati, volti in primo luogo a facilitare il reciproco accesso al mercato. La Svizzera però non fa parte del mercato interno europeo né ha l’intenzione di farne parte (110 sì contro 75 no, gli stessi partiti compatti del punto 1, 4 PPD-CVP, la solita e sola Markwalder tra i liberali; perché i suoi colleghi non la spediscono per raccomandata ai socialisti non si capisce, tra i ticinesi solo la socialista, sempre fedelissima e coerente con se stessa e con la tradizione paterna).

3. La Svizzera non sottoscrive contratti che limitano in modo generico o di fatto la sua sovranità. In modo particolare la Svizzera non può e non vuole impegnarsi a riprendere automaticamente in attuali o futuri trattati bilaterali il diritto europeo, né è disposta a sottomersi a tale diritto o ai suoi tribunali. Su questo tema il Consiglio nazionale ha faticato parecchio, decidendo a maggioranza risicata (solo 97 sì, 91 no, i partiti compatti degli altri due punti, la solita e ineffabile Markwalder, e ben 13 PPD-CVP, nessun ticinese salvo la socialista “luminosa”, perché domiciliata a Lumino, non che ci illumini).

4. La richiesta di adesione all’UE non entra in linea di conto (121 sì, 48 no, i soliti partiti e solamente 6 PPD-CVP. Segno che parecchia gente, compresa l’ineffabile liberal-radicale, si era allontanata dall’aula per bisogni impellenti.

Sono informazioni tolte da articoli della “Weltwoche”. Se la memoria non mi inganna, la stampa cantonale in proposito ha dato prova di grande pudore nel pubblicizzare l’importantissimo dibattito e l’esito delle votazioni. Per la televisione del Signor Canetta si potrebbe parlare di reticenza. Per il posizionamento straordinariamente favorevole alla mozione UDC-SVP del partito liberale qualcuno ha parlato di pretattica elettorale. Nel prossimo mese di dicembre, in occasione dell’elezione del CF, potremo chiarirci le idee.

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Il Dott. Albert Stahel è un professore universitario tedesco che ha fondato e dirige un suo “Istituto per studi strategici”. Cerca di capire quel che accade nel mondo e che gli organi d’informazione non dicono mai perché sono obbligatoriamente al servizio di qualcuno, al minimo dei loro padroni o finanziatori. Mi considero, in tutta modestia, un suo collega. Sei mesi fa il Prof. Stahel ha pubblicato un bilancio su “Zeit-Fragen”, che ripropongo qui, condividendolo, a chi non avesse avuto occasione di leggerlo.

La strategia americana (USA) del “Regime change” per esportare la pace e la democrazia, magari aggredendo paesi che tutto sommato stavano bene con i loro dittatori, ha “partorito” questi eclatanti (Devoto e Oli: eclatante: vistoso, sorprendente) risultati:

– nell’aprile 1992 caduta del presidente comunista afgano Mohammed Najibullah. Risultato: la guerra civile tra le differenti fazioni di mudschahedin, la distruzione di Kabul e per finire la presa del potere dei talibani che il 27 settembre 1996 impiccarono Najibullah. Il seguito, che perdura, non fu altro che una successione di tragici eventi.

– nel dicembre 2001 i talebani furono sconfitti a suon di tonnellate di bombe, con l’intervento anche di truppe di terra di una coalizione tra USA e i loro vassalli europei. La conseguenza è che la guerra infuria, il pan non manca, ma sul ponte sventola la bandiera dei produttori dei derivati del papavero.

– il 5 ottobre 2000 il presidente serbo Slobodan Milosevic fu costretto alla rinuncia da dimostrazioni di massa fomentate da chi suppongo io. La Serbia rimane uno stato instabile.

– il 9 aprile 2003 fu la volta di Saddam Hussein, finito sulla forca il 30 dicembre 2006. L’esito di questa esecuzione lo abbiamo sotto gli occhi: 50-100 morti al giorno per attentati dinamitardi, con in più, come ciliegina sulla torta, l’IS, detta anche ”Califfato”.

– la “rivoluzione delle rose” in Georgia ha fatto cadere Eduard Schewardnadse in favore di un governo filoamericano che credette di poter ribellarsi alla Russia, con il risultato di spezzettare il paese in 4 o 5 staterelli.

– il 14 gennaio 2011 il dittatore tunisino Zine al-Abidine Ben Ali fu travolto dalla “primavera nordafricana”, detta anche “araba”. Trovò sicuro e confortevole rifugio in Arabia Saudita, il fedelissimo alleato di ferro degli USA che finanzia tutti i loro avversari terroristi. I recenti attentati che hanno insanguinato le spiagge turistiche della Tunisia secondo gli esperti “politicamente corretti” sarebbero dovuti solo alla malasuerte, senza zampino di CIA e simili.

– tramite proteste di piazza anche Hosni Mubarack è stato costretto alla resa. Il “fratello mussulmano” Mursi fu democraticamente eletto alla presidenza, ma subito spazzato via da un golpe dei militari guidati da Abd al-Fattah as-Sisi. Su Morsi pende la condanna a morte, in attesa dell’esecuzione l’Egitto è martoriato da continui attentati dinamitardi.

– nel marzo 2011 finte proteste popolari (CIA-indotte), con la complicità di Turchia e Arabia Saudita, tentarono di spedire nel regno dei più Bashar al-Assad. Adesso abbiamo centinaia di migliaia di defunti, milioni di profughi e in più, come solite ciliegine sulle torte statunitensi, lo Stato islamico e Jahbat al-Nusra.

– il 20 ottobre 2011 l’odioso Gaddafi fu castrato senza anestesia sul cofano di un’automobile e poi assassinato. Un’inviata di Euro-news, messasi alla sua ricerca, ricordo benissimo, l’ha proclamato lei stessa, si imbattè in 3 cadaveri “privi di vita”. Non voglio tediare oltre misura i miei gentili lettori, ma immaginatevi lo spavento ad imbattersi in un cadavere pieno di vita. In quale stato sia ridotta la Libia attuale lo abbiamo tutti sotto gli occhi. Per non parlare dei traghetti su gommoni a autoaffondamento programmato, diretti a Lampedusa.

– il 22 febbraio 2014 il presidente ucraino Viktor Janukowitsch fu spodestato con la violenza di piazza. Putin potè così recuperare una Crimea che gli spettava di diritto, con democratico sostegno del popolo, ma guadagnandosi l’acrimonioso anatema dei servi europei (politicamente corretti) della potenza egemone. Il morbo non infuria, ma la guerra civile sì.

Il bilancio della politica estera americana, dai tempi di Bush senior, passando per Clinton e Bush Junior, per arrivare ad Obama, è questo: adesso sono in arrivo la Hillary o il Jeb Bush. Parafrasando Charles de Gaulles non posso far altro che dire: “Je leur souhaite bien du plaisir”.

Gianfranco Soldati