buona scuola 1Le cosiddette riforme  di Renzi  rappresentano uno dei più grandi  disastri  che l’Italia abbia subito  negli ultimi 70 anni,  in paragone  al quale eventi come  le Brigate Rosse e Tangentopoli  rischiano di lasciare  assai minori conseguenze. Quando, a Dio piacendo, l’attuale governo capitalcomunista  leverà l’incomodo,  occorrerà  un lungo periodo per ripristinare  la legalità. Sarebbe interessante redigere  un elenco completo delle violazioni  della Costituzione  e delle più elementari  norme del diritto,  come per esempio il valore retroattivo  di moltissime leggi, da parte dell’esecutivo  e della maggioranza che lo sostiene,  ma tale esercizio è nettamente superiore alle forze  di una sola persona. Limitiamoci, per il momento,  a considerare la riforma  chiamata della Buona Scuola.

Non intendo  commentare  con puntigliosità  ogni singolo provvedimento,  preferendo  un’analisi a tutto campo  del problema,  che nel nostro Paese è sempre stato motivo di discussioni e polemiche. Iniziamo quindi  col ricordare  che l’ultima,  vera riforma organica del settore  è stata quella di Giovanni Gentile. Si trattava, allora , di costruire  una scuola  all’altezza di una Nazione  che stava faticosamente  curando l’atavica piaga  dell’analfabetismo  di massa,  e al contempo  avvertiva  il bisogno di creare una nuova  classe dirigente,  dotata di competenza e cultura. Il balzo in avanti  che il filosofo  di Castelvetrano fece fare all’istruzione  umanistica,  con particolare attenzione  per la lingua italiana  e per quelle antiche ,  corrispondeva alla volontà di dar vita a una solida base  intellettuale  su cui  costruire il futuro. Il liceo classico  era la struttura portante dell’ambizioso progetto, idoneo  ad accompagnare i destini imperiali  che sembravano annunciarsi. Tutti sappiamo  come, di lì a poco,  simili prospettive  fossero spazzate via dalla catastrofe bellica, ma quel modello  di  scuola superò la sconfitta e la tragica fine del suo stesso ideatore, entrando  a vele spiegate  nel dopoguerra  democristiano.

Vivaldi-Forti 1x2 aSi trattava,  è opportuno ricordarlo, di una concezione  fortemente autoritaria  e gerarchica,  le cui fondamenta erano l’insindacabilità del giudizio  dei professori, la famosa espulsione  da tutte le scuole  del Regno per gli indisciplinati,  minaccia ricorrente  anche nel primo periodo dell’Italia repubblicana, e  il temutissimo  esami di maturità,  terrore  degli studenti , con il programma  abbracciante  l’intero corso di studi e il voto disgiunto  per ogni singola materia,  tanto che,  almeno in teoria, un candidato poteva essere costretto a ripetere l’anno per l’impuntatura di un solo commissario,  fosse pure quello di educazione fisica,  malgrado  una media generale eccezionalmente brillante.

Questo tipo di scuola che conteneva,  come tutte le cose umane,  elementi positivi e negativi ,  scomparve  a seguito della contestazione  del 1968. L’esame di Stato  uscito  da quella rivoluzione  non somigliava ormai in nulla al suo omologo istituito da Gentile : i tradizionali  cinque scritti (Italiano, versione dal Latino all’Italiano e viceversa, idem per il Greco) ridotti a due,  con la seconda prova  comunicata  con mesi di anticipo, in modo che lo studio delle altre discipline era di fatto abbandonato; due soli colloqui orali  con programma  circoscritto all’ultimo anno e,  massima facilitazione,  media  generale  fra tutte le materie,  in modo che  si poteva  conseguire la licenza  pur  nella completa ignoranza di alcune di queste. I risultati furono subito  evidenti: al posto dell’abituale  60%  di respinti delle sessioni passate, dal 1969 si registrò il 95-97% di promossi.

Si trattò, in ultima analisi, di un progresso o di un regresso? E quali effetti provocò questo terremoto  sul sistema scolastico e sull’intera società italiana? Ancora una volta  gli aspetti  negativi  s’intersecano  con quelli positivi. Senza dubbio,  il nozionismo esasperato della scuola gentiliana  non favoriva lo spirito critico degli studenti, ma tale  non era il suo scopo. Si trattava, al contrario,  di preparare  le nuove generazioni a una  obbedienza assoluta al sistema , dotandole peraltro delle conoscenze indispensabili  per una buona riuscita nelle professioni e nel lavoro. Abbandonare  totalmente  questo modello per abbracciarne uno opposto,  sull’onda del voto  politico  e delle okkupazioni , produsse in ogni caso autentici mostri,  che pesano assai più oggi  di 40 anni fa. Le nuove leve, alla prova,  si sono rivelate un disastro. Non soltanto  abbiamo avuto burocratici, pubblici amministratori,  politici, magistrati  e professionisti  nettamente inferiori  al loro compito, di frequente disonesti e pronti  ad ogni compromesso  per amore del denaro  e della carriera;  promuovere tutti  ad occhi chiusi,  secondo i dettami di un’ ideologia nichilista, ha infatti creato  nei giovani  l’illusione di una vita facile,  ma quando poi si sono accorti  che facile non era,  hanno fatto di tutto per renderla tale tramite l’inganno e la furbizia.

Anche per questo  la discussione  sui mali della scuola, le  cause e i possibili rimedi  sono all’ordine del giorno: tutti si accorgono che così non si può andare avanti. Purtroppo, però, si cercano le origini  del disagio, come sempre,  nel luogo sbagliato. Si parla esclusivamente  di risorse,  seguendo l’andazzo  materialista dei nostri tempi,  mentre  non si comprende  che i problemi  economici  rappresentano l’effetto  e non la causa  della cattiva istruzione. Sarebbe certo utile  e importante  poter formare insegnanti meglio preparati  degli attuali,  ma non soltanto sul piano tecnico e nozionistico. A far difetto sono le motivazioni etiche e sociali, ossia  la coscienza  dell’altissima missione del docente,  non importa  di quale grado, che in altri tempi  lo spingeva a sacrifici  inenarrabili,  come successe alla sorella di mia nonna , Paolina Tacchi,  che  licenziatasi  alla prestigiosissima  Scuola Normale Superiore di Pisa, una  tra le prima cinque femmine  a frequentare  quella gloriosa Accademia,  ai primi del Novecento fu trasferita dal Liceo Carlo Tenca di Milano alle Magistrali di Petralia Sottana, in Sicilia, destinazione oltremodo disagiata, per raggiungere la quale occorrevano  più di 24 ore di viaggio,  fra treno e diligenza.

Sarebbe però sbagliato attribuire  la crisi d’identità  dell’insegnate di oggi  a motivi  prevalentemente economici  o alla mancanza di  deontologia professionale. Essa  si inscrive invece  nella  dissoluzione in  atto di una società intera, che non possiede più punti di riferimento, non produce  ormai da decenni  una cultura  degna di questo nome  e naviga a vista,  senza conoscere il porto di destino. Avendo  in più occasioni  indicato  la rivoluzione partecipativa come rimedio  al degrado del sistema, vale la pena abbozzare  le caratteristiche di una scuola  del tutto nuova, coerente  con tale visione del mondo.

Innanzitutto la partecipazione diretta del popolo alle scelte che lo riguardano  esige cittadini ben più consapevoli e dotati di spirito critico, di quanto richiedesse la democrazia delegata o, peggio, la dittatura. Per questo, l’istruzione pubblica  non si può ridurre a un  Centro Addestramento Reclute, vòlto alla formazione di una burocrazia supina e conformista. Ciò significa  che fin dalle elementari, e per tutto il corso della carriera scolastica, dovrà  affermarsi una responsabilizzazione  costante dell’alunno, in modo da prepararlo  alla presa autonoma delle decisioni, facendogli  toccare con mano come ogni sua azione rappresenti la causa delle conseguenze di cui diverrà oggetto, in un costante  feed-back  (ma perché non chiamarlo all’italiana effetto di ritorno?) di azioni e reazioni.

Inoltre non lo si dovrà più  considerare,  anche se minorenne,  un  individuo  privo della capacità d’ intendere e di volere, bensì  un soggetto dotato di personalità  unica e irripetibile , che in quanto tale non può essere omologata  a nessuna forma precostituita di pensiero, sia pure a fin di bene. Le regole della scuola partecipativa  dovranno quindi prefigurare quelle  della società  corrispondente: molte  saranno perciò da cambiare. A parte  gli organismi autogestiti  che  presiederanno alla sua organizzazione, composti in modo paritetico  da professori e allievi, gli stessi giudizi  sul rendimento scolastico si baseranno su principi  molto diversi dagli attuali.

Stabilita una base minima di istruzione comune a tutti,  fino alla licenza media,  il percorso formativo ulteriore dovrà strutturarsi  in base alle caratteristiche  di ogni singolo allievo. Vi sarà quindi chi eccellerà  in tutte le materie ,  e a questi verrà rilasciato  un diploma polivalente,  idoneo per l’iscrizione  a qualunque facoltà universitaria  e per la partecipazione a qualsiasi concorso. Altri, invece,  saranno bravi nelle discipline scientifiche e insufficienti in quelle umanistiche, o viceversa: costoro riceveranno  un diploma parziale,  con l’autorizzazione a iscriversi solamente  alle facoltà affini,  e in calce allo stesso  si preciserà il livello di preparazione  nelle diverse materie, senza però interromperne il corso di studi o stroncarne le prospettive professionali. Infine, vi sarà qualcuno totalmente negato alla cultura , indipendentemente dagli indirizzi. Neppure questi  verrà bocciato , termine autoritario  e traumatico per la personalità dei giovani,  ma  lo  si porrà  di fronte alla scelta se contentarsi  di un semplice attestato, con la raccomandazione di dedicarsi  a lavori diversi da quelli intellettuali e il divieto a proseguire gli studi, ovvero ripetere la prova  nella tornata successiva.

Ultimo avvertimento:  al Consiglio  scolastico  che deciderà del suo destino,  anche l’allievo  dovrà prendere parte,  illustrando le proprie ragioni  e spiegando i motivi del proprio rendimento. L’insindacabilità dei docenti, in una scuola partecipativa,  dovrà diventare un lontano ricordo.

Utopia?  Forse,  esattamente come la società  di cui  tale sistema didattico sarà l’espressione, ma soltanto riuscendo a realizzarlo potremmo davvero parlare di Buona Scuola. Tutto il resto  appartiene alla demagogia, alla storia o semplicemente  alle fanfaronate.

Carlo Vivaldi-Forti