Ho trovato su Facebook questa notevole riflessione, che propongo ai nostri lettori. Ma non posso fare a meno di chiedermi: “Viviamo un vero dramma?”

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cavagnago_ticino-3_n (1)Foto dal sito welcome.cavagnago.ch

Non so, brava la mia gente, se davvero qui da noi tutti si mettano a piangere, come sembra pretendere il titolo dello zurighese foglio [Tristezza im Ticino, Blick]. Quell’articolo, ricordate il giorno dei Morti, fece rumore. Ah, quale giudizio ingeneroso ci riservarono i nostri cari Confederati! Poi, più nulla. È “normalmente” passato il Preventivo dello Stato. Che volete di più?

Cavallero prof smIl fatto è però – e questo lo vede anche un orbo – il Ticino rappresenta l’unicum della Svizzera. I suoi problemi sono stati lumeggiati proprio ieri da un direttore di azienda, o meglio un imprenditore [il dottor Alberto Siccardi], sul “Corriere del Ticino”, in un articolo che apparentemente parla d’altro. In realtà, per risolvere lamenti e magagne cantonali, occorrerebbero – dice lo scrivente – “una scuola decente per avere buoni posti di lavoro e strade per smaltire il traffico”.

Sulla seconda cosa, francamente non so. Ci saranno pure degli ingegneri, del calibro di quelli che hanno architettato i piani viari del Luganese, che potranno dare un responso in merito. Sulla scuola decente invece posso esprimermi di più. Dico che se ci si riferisce al sogno del Cantone Ticino di essere il Paese del Bengodi, quanto si è fatto in ambito scolastico e pedagogico non potrebbe apparire migliore. Scuole per tutti, da piccoli, da medi, da giovincelli e da adulti magari con la barba. Ma dietro le quinte… se andiamo a rileggerci il “Naso” di Gogol, “la faccenda si avvolge in una spessa nebbia e quello che avviene precisamente nessuno lo sa”. Le uniche prospettive, e ti pareva, dobbiamo andarle a cercare nei Piani di studio e nella “scuola che verrà”, meraviglie che perpetueranno (anzi acuiranno) una certa situazione tabuizzata e tabuizzante. Dunque, aspetta e spera.

Fuor di metafora, il dramma del Ticino è proprio questo. Chi doveva intuire, già venticinque anni fa, non ha visto, anzi ha guardato dall’altra parte. Non ha colto i segnali, che pure ci sono stati. In qualche circostanza ha anche reagito con imperio e durezza. Che si potrebbe dire oggi di concreto e non fumoso ai giovani – e non solo a loro – dall’alto delle cattedre e forse ancor meglio dalle assise politiche e sindacali?

Franco Cavallero