Titolo originale: “Il rispetto della democrazia diretta”

(fdm) Premetto un breve commento. Tutti vedono lo schieramento esorbitante, soverchiante, galattico, pantoclastico (uno dei miei aggettivi prediletti) in favore del NO. Politici, politicanti e professori a gogo, con toni da apocalisse (apocàlypsis vuol dire “rivelazione” ma per noi oggi la parola significa qualcosa come disastro, catastrofe, eccetera). 

Perché lo fanno, perché agiscono così? La prima risposta è: “perché così realmente pensano”, e non è detto che sia sbagliata. Ma una seconda risposta – a mio modo di vedere più fondamentale e più valida – è diversa ed è questa: perché si condizionano e si cooptano a vicenda; e perché nessuno può impunemente sgarrare alla “legge del branco” (termine che indica semplicemente un vasto organismo governato da leggi di autoconservazione e dev’essere inteso come privo di offesa).

Immaginate se uno di questi consiglieri o di questi professori osasse ribellarsi, dicendo quello che non si può/non si deve dire. Sarebbe ipso facto massacrato, messo al bando come un cane rognoso. Privato di stima, e non solo: forse della cattedra, certamente del seggio (alla prima occasione).

Ora il giudizio è nelle mani del popolo. Se l’armata possente dei politicamente corretti vincerà, i populisti accetteranno serenamente il risultato delle urne. L’importante è che si possa votare. Questa è già di per sé una vittoria.

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urgentIn una recente intervista a uno dei due candidati alla presidenza dell’UDC su un portale ticinese ci si meravigliava del fatto che nel nuovo Consiglio degli Stati, istituzione nella quale dovrebbero essere rappresentati non solo tutti i Cantoni, ma anche tutti i cittadini svizzeri, solo 6 deputati su 46 sostengono l’iniziativa di un partito che rappresenta il 29% degli elettori, iniziativa che saremo chiamati a votare il prossimo 28 febbraio. Si tratta di un atto che il partito di maggioranza relativa si è visto costretto ad introdurre quando ha dovuto constatare che l’Esecutivo e il Legislativo federali non avevano nessuna seria intenzione, per una serie di considerazioni più che discutibili, di dare un seguito ad una precedente iniziativa largamente approvata dal popolo. L’iniziativa sarebbe anticostituzionale, manchevole di senso della proporzionalità e soprattutto in contrasto con diritti internazionali (prevalenti sul diritto nazionale), in realtà maldefiniti e spesso invocati a seconda di proprie convenienze di ideologica o altra natura. Diritti internazionali che sono invece sensati ed accettabili solo in quanto intesi come misure di protezione dell’individuo di fronte allo strapotere e alle prevaricazioni dello Stato e della sua burocrazia.

soldatiChe il Consiglio degli Stati rappresenti se stesso più che il popolo che lo elegge non è una novità, come non è novità che continuamente ci sia chi rimette in discussione la democrazia diretta. Di manifestazioni eclatanti di questa mentalità ne abbiamo avute a iosa dopo il voto del 9 febbraio 2014. La libera circolazione delle persone non è un assioma e neppure un dogma, e ancor meno sta scritta nel Vangelo o nel Corano. È certamente cosa buona e giusta dal punto di vista degli ideali, ma all’atto pratico ha i suoi aspetti negativi. Se ne sono accorti anche molti Stati europei, e nel 2015, con un anno e mezzo di ritardo sul voto del popolo svizzero del 9 febbraio 2014, nazioni come l’Inghilterra, la Francia, l’Ungheria, la Cechia, la Slovacchia e altre ancora l’hanno rimessa in discussione. E se ne possono discutere loro, che sono Stati membri dell’UE, ne potrà ben discutere anche la Svizzera, Paese libero e indipendente per volontà del proprio popolo, non certo per quella dei suoi governanti. Basterebbe che a negoziare a Bruxelles si inviassero persone che vogliono e fortemente vogliono far rispettare la volontà popolare.

Lo stesso problema e la stessa situazione si ripropongono ancora una volta per l’iniziativa che voteremo il prossimo 28 febbraio. Consiglio federale e Camere, non contenti del tam tam pubblicitario già in atto da parte di tutti i media, di tutti i partiti (UDC, in Ticino Lega e a Ginevra MCG esclusi), di Esecutivi cantonali e delle loro conferenze dei direttori dei rispettivi dicasteri (hanno perfino creato, senza arrossire, ma facendola pagare al contribuente, una conferenza dei segretari delle varie conferenze) ricorrono adesso a proclami e manifesti firmati da loro funzionari lautamente stipendiati, come sono per esempio i 120 devoti professori di diritto che non sanno che i manifesti sono sempre armi a doppio taglio e a triplo rischio di ridicolo.

Quella di ricorrere ad espedienti poco democratici per evitare di doversi sottomettere al responso popolare o per almeno indottrinare (lavaggio di cervello) chi è chiamato alle urne è una tentazione sempre incombente sugli esecutivi e in particolare sul Consiglio federale. Negli anni ’30 il Governo federale aveva preso l’abitudine di continuamente ricorrere alla clausola dell’urgenza, in particolare per ostacolare Gottlieb Duttweiler nella sua opera di edificazione di quel che sarebbe diventata la Migros. Furono inoltrate 5 iniziative, nell’intento di far meglio precisare, a livello di Costituzione, il concetto nebuloso di «urgenza». Tre di loro non arrivarono mai al voto, continuamente rinviate alle calende greche dal Consiglio federale e per finire per il sopraggiungere della guerra, 2 caddero in votazione popolare.

Il dibattito sulla definizione da inserirsi nella costituzione della clausola d’urgenza e sui diritti popolari nell’ambito della democrazia diretta riprese subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Cerchie liberali vodesi («Ligue Vaudoise») lanciarono un’ulteriore iniziativa dal significativo titolo «Ritorno alla democrazia diretta», con un testo di inconfondibile impronta, perché dovuto alla penna di un membro della grande, grandissima famiglia bregagliotta dei Giacometti, Zaccaria (1893-1970), professore di diritto a Zurigo, probabilmente il maggior difensore della democrazia diretta del secolo scorso. Un testo che sarà ripreso tale e quale nell’ultima revisione della nostra Costituzione del 1999, ma che allora incorse nell’ostilità del Consiglio federale e della Camera bassa (84 no, solo 43 sì). La Camera alta poi, massacrò l’iniziativa con 19 voti contro l, dico uno. Il testo fu posto in votazione l’11.9.1949, accettato dal popolo a larga maggioranza e da tutti, dico tutti, i cantoni. Vedi dunque, amico lettore, che gli attuali soli 40 consiglieri agli Stati su 46 opposti al testo in votazione il prossimo 28 febbraio costituiscono, dal punto di vista del rispetto della democrazia diretta, un autentico progresso.

Gianfranco Soldati

(Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore)