Martina Caldelari 360Sono un pedone e vado (spesso) di fretta.
Sono un pedone, e questa, al giorno d’oggi, è una condizione abbastanza sfavorevole. È uno status che può essere assunto per le ragioni più disparate: ecologiche, salutiste, economiche, pratiche. Per quanto mi riguarda, formalmente è un mix di queste (abito vicino al centro, scarseggiano i parcheggi, fa bene a corpo e spirito, evita ulteriori emissioni di CO2, il pieno costa); sostanzialmente è, piuttosto, conseguenza di una pigrizia che non mi ha mai portato a conseguire la patente di guida.

Indipendentemente dalle motivazioni che spingano a prediligere un pedibus calcantibus alle più pratiche due o quattro ruote, la prospettiva così offerta merita, a mio avviso, di essere condivisa e divenire oggetto di riflessione, soprattutto a fronte dell’ormai consolidato nuovo piano viario luganese, alias il ben noto PVP. Non mi permetto di risottolineare i vari disagi lamentati dagli automobilisti, pur avendo avuto modo di sperimentarli sulla mia pelle (ovviamente, dal lato passeggero); preferisco focalizzarmi sulla “battaglia” che, insieme a molti altri, cittadini e no, affronto negli spostamenti quasi quotidiani per le vie di Lugano.

I disagi cominciano sin dalla soglia di casa, a seguito dell’eliminazione di parecchi passaggi pedonali, talvolta giustificata dalla predisposizione di sedicenti “zone incontro”, denominazione innovativa delle vecchie “zone 30 km/h”, senza però averne informato gli automobilisti, che vi sfrecciano non curandosi di chi, dal marciapiede, si sbraccia nella (vana) speranza di venire notato.

Una volta elaborato uno stratagemma (più o meno rispettoso del Codice della strada), il nostro coraggioso pedone riesce ad arrivare fino al primo crocevia, pronto ad affrontare una sfida ancora più drammatica: il semaforo, ormai divenuto il suo antagonista per eccellenza. Il lato positivo è che, in tale circostanza, il nostro eroe non è solo, potendo contare su due categorie di alleati: da un lato, gli altri pedoni (non per nulla qualcuno ha risposto alle critiche del PVP riconoscendolo come una “ottima occasione di socializzazione”, o, meglio, direi io, di elaborazione di piani sovversivi), dall’altro gli antagonisti storici, vale a dire gli automobilisti; in fondo, si sa, di fronte a il nemico comune si possono creare le intese più inaspettate.

Durante le lunghe, a tratti persino imbarazzanti attese (provate voi a decidere dove guardare quando tutti i semafori sono rossi, e nessuno osa attraversare per paura di un repentino mutamento di colore, con conseguente strombazzata), i discorsi sono sempre gli stessi: in sintesi, sbuffi, scalpitii, imprecazioni. Quando la pazienza si esaurisce, qualche coraggioso in attesa sul marciapiede lancia uno sguardo di sfida all’apparecchio luminescente davanti a lui, cerca sostegno anche solo morale dai suoi vicini e attraversa la strada, subito seguito dalla folla creatasi dietro di lui. Nessuno osa controbattere dinnanzi alla sua condotta, neppure i pazienti autisti, che osservano la scena attraverso il parabrezza e non possono che invidiare la generale impunità dei comportamenti trasgressivi dei pedoni, assolutamente non immaginabile per le quattro ruote. Anche perché, diciamocelo, volendo rispettare i diktat cromatici, si rischia davvero di trascorrere buona parte della giornata in attesa. Senza contare che il semaforo resta verde per una durata quasi impercettibile, idonea a mettere in crisi anche il più allenato dei podisti.

Gli ostacoli al raggiungimento della metà non sono però finiti, dovendocisi ancora confrontare con gli aspiranti fruitori del “regno” del pedone, ossia i tanto temuti ciclisti. Questi ultimi, apparentemente, non apprezzano l’elevata capillarità delle piste a loro destinate dal nostro Comune, preferendo di gran lunga utilizzare il marciapiede, talvolta addirittura sollecitando i passanti ad accelerare facendo ricorso al suono del loro campanello. La caduta in desuetudine delle piste ciclabili, oltre a essere dimostrata dal fatto che sono (per quanto ho avuto modo di notare) per lo più deserte, mi è risultata ancora più eclatante quando, qualche giorno fa, è stata occupata da un’anziana signora, che ne ha approfittato per camminare indisturbata lungo buona parte di Corso Elvezia, parendo abbastanza certa di non rischiare alcun tipo di investimento.

Insomma, tra strisce pedonali lacunose, semafori perennemente rossi e svariate alte attese, sembra proprio che un pedone non riesca ad andare di fretta, il che può essere sicuramente un buon esercizio di pazienza e organizzazione, non però molto coerente con i millantati tentativi e investimenti cittadini volti a incentivare l’abbandono dell’automobile a favore di spostamenti ecologicamente più sostenibili(mezzi pubblici, certo, ma anche le proprie gambe).

Sono un pedone, e (devo) andare piano, non avere troppa fretta. Sarà per questo che gran parte degli orologi pubblici sono, da qualche tempo, misteriosamente scomparsi?

Martina Caldelari

Candidata al Consiglio comunale di Lugano per il PLR