14 giugno 2016, ore 11. Varese splende nel sole novello che palpita d’oro in un crescendo d’aureo vigore, man mano che la mattinata avanza. Mi reco ai piedi del colle su cui sorge Villa Panza, che nel 1748 il conte Paolo Antonio Menafoglio volle far costruire come abitazione che dominasse la città, dall’alto, e che nel 1823 Pompeo Litta Visconti Arese trasformò in una villa di delizie, ampliandone, per opera dell’architetto Canonica, la raffinata architettura settecentesca in più spaziose forme neoclassiche. (Grazie alla cura riservata alla villa, il citato nobile ottenne dall’imperatore Francesco I d’Austria il titolo di conte.) Qui, oggi, per volere del conte Giuseppe Panza di Biumo dal 1956, hanno dimora opere dei più famosi artisti esponenti dell’arte contemporanea, dalla Land Art al minimalismo, dall’arte ambientale alle più innovative creazioni. Qui, dunque, s’intrecciano i destini dell’arte, ponti tra molteplici pensieri, indissolubili trecce tra epoche che si susseguono, contrastandosi e compendiandosi, in una continuità d’ingegno e innovazione.
Una strada s’inerpica su per il colle, nel quale, racchiusa da possenti mura, s’erge silente la villa, che ancora non riesco a scorgere. Il viale in salita è rinfrescato dai ventosi larici che ondeggiano nella brezza di tarda primavera e da altre alte piante che sciolgono le loro chiome giù dalle antiche fortificazioni.
Giungo infine all’alta cancellata, dentro la quale l’antica e sontuosa Villa, intonacata di rosa antico e arricchita da lievi stucchi, custodisce opere sorprendenti. Non è facile capirle dal primo impatto, poiché è un’altra arte, un’arte che, anziché parlare al cuore e alla mente, (come la sua predecessora, l’arte che va fino alla fine dell’ottocento, per intenderci, che presuppone invece una determinata retrospettiva culturale e storica comune), è un’arte che parla direttamente ai sensi del singolo. Non mira solo alla vista dello spettatore, dunque, ma al suo inconscio, ai suoi reconditi pensieri e paure, alle sue percezioni, che, come scoprirò da lì a poco, si rivelano terribilmente illusorie.
Mi appresto infatti a visitare la mostra, oltre 150 opere dei più famosi artisti contemporanei, ivi riunite grazie all’interesse del conte collezionista che, con un mecenatismo post litteram, invitò gli artisti stessi a soggiornare in questo paradiso architettonico. Da Robert Irwin (1929) a Maria Nordman (1943) da James Turrel (1943) a Dan Flavin (1933/1996) in un tutt’uno artistico di luce, arte, natura architettura.
Chantal Fantuzzi