LE ELEZIONI AMERICANE: UNA SVOLTA STORICA

(titolo originale)

I progressisti hanno sempre definito Franklin Delano Roosevelt il più grande presidente americano del XX secolo. Sue grandi benemerenze sarebbero la svolta a sinistra in economia, indispensabile per fare uscire il Paese e l’intero Occidente dalla grande depressione, e la vittoriosa lotta  contro i totalitarismi  europei ed asiatici. Purtroppo non posso dirmi d’accordo con tali apprezzamenti. Il tanto osannato New Deal inaugura infatti quella filosofia politica del compromesso, che troveremo  alla base di tutti i regimi consociativi  del dopoguerra, principale causa della corruzione generalizzata e del declino della nostra civiltà, mentre sul piano internazionale le continue  provocazioni degli USA contro l’Asse, ma soprattutto contro il Giappone, sono le massime  responsabili dell’allargamento planetario del  secondo conflitto  mondiale .

Reagan400Il vero, grande, finora insuperato inquilino della Casa Bianca degli ultimi cento anni è di sicuro Ronald Reagan , i cui meriti si rivelano ben superiori a quelli di Roosevelt: la distruzione del comunismo  e l’arresto dell’espansionismo sovietico, che hanno evitato una terza guerra globale, esito praticamente sicuro ove fosse proseguita la politica rinunciataria, debole e masochistica di Jimmy Carter e del suo gruppo di venditori di noccioline. Alla drammatica notte elettorale del 3 novembre 1980,   da me trascorsa in compagnia di alcuni qualificati esponenti dell’emigrazione  cecoslovacca, ho dedicato un capitolo del libro Pravda vitezi- La verità vince ( Campanotto , 2008). Ricordo le facce serie , tese, quasi lugubri di quei dissidenti, in attesa dei risultati. La consapevolezza della posta in gioco era netta: si trattava di un ultimo  appello. In caso di sconfitta, per il mondo libero non vi sarebbe stato scampo: o la sottomissione ai Soviet o lo scontro. Indescrivibile l’entusiasmo  quando il candidato repubblicano raggiunse il quorum: canti, abbracci , urla, pianti. Niente di simile si è più visto nelle elezioni successive.

Franklin-Delano-RooseveltMolti affermano che la massa degli elettori americani è ignorante, disinformata, disinteressata agli avvenimenti  internazionali. Può darsi, ma occorre  prendere atto che i cittadini d’Oltre Atlantico possiedono una sorta d’istinto primordiale, ereditato forse dai pellerossa o dai pellegrini del Mayflower,  che nei tornanti decisivi della storia, quando la loro stessa sopravvivenza è minacciata, li guida verso le scelte necessarie. Certo, nel secolo passato ci vollero sedici anni per imboccare la strada giusta, il tempo intercorso fra il tentativo fallito  di Barry Goldwater nel 1964 , e quello riuscito del suo discepolo Reagan  nel 1980. Oggi però gli eventi precipitano, in particolare dopo la Brexit : i prossimi mesi vedranno la vittoria della destra in Austria, quella del NO al referendum  costituzionale in Italia, dei nazionalisti in Olanda, lo stop all’immigrazione in Ungheria  e probabilmente l’avvento della Le Pen all’Eliseo. Un nuovo scenario geopolitico si sta quindi delineando, e forse stavolta  comincerà tutto dall’Europa. In simile contesto si collocano le presidenziali in America.

La situazione che il nuovo presidente si troverà a fronteggiare è in sintesi questa. Innanzitutto  l’impero della turbofinanza globale , come la definisce il filosofo russo Alexander Dugin , versa in una crisi drammatica e di fatto irreversibile. Il tentativo d’instaurare il proprio dominio planetario,  dopo l’implosione dell’Unione Sovietica, che fece parlare Francis Fukuyama di fine della storia , si è infranto contro la realtà di un multipolarismo refrattario a ogni  colonizzazione, rappresentato in particolare dalle superpotenze   asiatiche e dalla Federazione Russa, che sotto la guida forte e autorevole di Vladimir Putin  ha superato la terribile crisi d’identità degli anni Novanta.    Con queste parole Alain de Benoist rievoca quell’epoca oscura:

In quegli anni l’America di Clinton era convinta di poter ridurre la Russia a terra di conquista del capitalismo d’assalto e finanziario. La finanza corsara di Wall Street fornì le risorse ad avventurieri e mafiosi, pronti ad impossessarsi di tutte le ricchezze del paese. Avventurieri e criminali, con la presidenza Eltsin si trasformarono in uomini d’affari, industriali, petrolieri. Una  bancarotta fu imposta a un Paese repentinamente chiamato a confrontarsi con la concorrenza del mercato globale. Se gli oligarchi furono i vincitori,  la maggioranza del popolo ne uscì sconfitta e ulteriormente impoverita. Le riforme capitaliste e liberiste fecero retrocedere di sei anni le aspettative di vita dei russi . Andarono perdute e disperse immense risorse umane ed intellettuali. I russi furono sottoposti a un vero e proprio lavaggio del carattere. L’Occidente si ripromise una radicale mutazione antropologica, drammatica e smisurata, come quelle imposte all’economia”.

La grande illusione della turbofinanza di giungere facilmente e rapidamente a un impero mondiale, durò circa nove anni: l’avvento di Putin nel 2000 mise fine a quei propositi. Da allora si è sviluppata, in Russia, una nuova cultura  che i suoi fondatori  chiamano Euroasiatismo , di cui Dugin è il maggiore esponente. Essa s’ispira a una visione multipolare del globo. Al posto del nuovo ordine mondiale perseguito dagli speculatori e dai mafiosi di ogni risma, la cui capitale è senza dubbio New York , o per meglio dire un quartiere e una precisa via della Grande Mela, quella chiamata Strada del Muro , si ipotizzano quattro aree geopolitiche: l’area euro-africana, comprendente l’Europa  e l’Africa; l’area asio-pacifica, comprendente il Giappone, l’Indocina, l’Australia e la Nuova Zelanda; l’area continentale euro-asiatica , comprendente la Russia , le nazioni della CSI, i paesi islamici continentali, l’India e la Cina; l’area americana, formata dall’America del Nord, dall’America Centrale e da quella Meridionale.

Dugin sottolinea che tale visione dell’umanità futura si contrappone ai piani mondialisti  della  mafia finanziaria , volti a creare un mondo unipolare  sotto il controllo delle oligarchie occidentali. Sul piano interno  prospetta poi una forma di democrazia partecipativa integrale, che definisce organica , fondata su una sorta di agorà comunitaria: la demotia dei greci. Ma egli va ben oltre, sostenendo la necessità di ripartire il surplus di ricchezza prodotto dal lavoro fra i lavoratori stessi. Non credo che ne sia cosciente, ma in  tal modo si riallaccia al progetto socio-economico  di De Gaulle, il cosiddetto pancapitalismo , purtroppo bocciato dal referendum  del 27 aprile 1969.  E’ evidente che qualora le proposte  di Dugin , ma davanti a lui  c’è Putin, divenissero realtà, emergerebbe un pianeta molto diverso e più vivibile dell’attuale: meno rischi  di guerra, meno terrorismo, più rispetto per l’ambiente.

Questo è lo scenario in cui si svolgono le elezioni americane, ma chi sono i contendenti? Hillary  Clinton , che ha sempre giurato di voler proseguire la politica del marito, è una tipica espressione dell’apparato, delle grandi banche, delle agenzie di rating  e di Wall Street. Se fosse eletta, non soltanto non cambierebbe nulla in positivo, ma si accentuerebbe drammaticamente l’imperialismo universale  del denaro, con tutte le conseguenze a cui siamo avvezzi: sempre più sfruttamento, definitiva liquidazione del ceto medio  in tutto l’Occidente, rapina fiscale  sistematica ad opera  di partiti  e parlamenti corrotti, allargamento dei teatri di guerra, dilagare del terrorismo, devastazione ecologica,  accentuazione della recessione  economica e del declino sociale.

Donald Trump è invece il classico outsider, inviso agli speculatori di Borsa, visceralmente odiato dalle famose trecentocinquantotto famiglie mafiose che governano il pianeta. Il suo programma politico si pone in totale discontinuità rispetto alle amministrazioni dell’ultimo quarto di secolo: Clinton, Bush, Obama. Come già a loro tempo Goldwater e Reagan, anch’egli sta cavalcando l’onda della storia: in tal senso rappresenta il progresso, mentre Hillary  la più bieca conservazione  o addirittura reazione. Trump si propone di restituire grandezza all’America, ma non con i metodi ormai falliti ed esecrati da tutti i popoli civili della mafia finanziaria, bensì facendo risorgere un’economia asfittica , messa in ginocchio  dalle scelte folli  di banchieri, Trilateral  e grande speculazione. A tal fine  immagina di ridurre le tasse, non però applicando un’aliquota unica per miliardari e poveri, ma fissando al 25% quella massima , che oggi è al 40%.

In politica estera ha ripetutamente dichiarato di non mirare all’egemonia mondiale, ritenendo superato e controproducente il ruolo di gendarme del mondo  che i poteri forti hanno fin da troppo tempo assegnato agli USA , dissanguandone le risorse. Simile intento coincide simmetricamente  con la visione multipolare di Putin e Dugin. Mente con Hillary la tensione est-ovest aumenterebbe fino a un insensato e pericolosissimo ritorno alla guerra fredda, con Trump, non a caso il candidato preferito dal leader russo, si avvierebbe una stretta collaborazione fra le due superpotenze , con effetti benefici  sull’economia mondiale, sulla pace, sulla lotta al terrorismo   al degrado della natura.

Gli elettori americani sono maturi per questa svolta epocale, oppure occorrerà attendere  l’avvento di un successore di Donald nel 2020? L’auspicio à ovviamente che lo siano,  perché ciò risparmierebbe al mondo quattro anni d’inferno , durante i quali potrebbe accadere di tutto.  Nell’una e nell’altra ipotesi, però, la storia  seguirà il proprio corso: la sopravvivenza del genere umano ha bisogno oggi del trumpismo, come quarant’anni fa lo aveva del reaganismo. Per questo vincerà , adesso o la prossima volta.

Carlo Vivaldi-Forti