Natalia ChambreNataliya Shtey Gilardoni nella “Chambre de lecture” di Markus Raetz

“La natura ti dà la faccia che hai a 20 anni; è compito tuo meritarti quella che avrai a 50 anni”. Questa massima, diventata celebre perché pare che Coco Chanel usasse ripeterla spesso, contiene una grande verità.

Sfoglio le pagine del bellissimo libro edito da Casagrande dedicato alla Chambre de lecture e provo nuovamente quella sensazione di sorpresa che solo un’opera di Markus Raetz sa dare. Si intitola “R”. Una sola lettera, anzi una linea, in fondo che diventa una folla di persone e mi faccio le domande. Che significato abbiano un naso lungo, corto oppure curvato, una nuca larga, stretta oppure un mento sfuggente o una profonda ruga sulla fronte? E che dire di quell’imbonitore “faccia d’angelo” cui ci siamo affezionati e fidati ciecamente e che non riusciamo a dimenticare per la fregatura e il dispiacere che ci ha dato? Cosa possiamo aspettare, infine, da quel politico che, dai manifesti appesi ovunque, mostra la sua faccia sorridente per farsi votare? Ma il volto può mascherare una bugia, oppure questa traspare inevitabilmente?

Questo libro riporta le foto di tutti i 432 profili in fil di ferro realizzati dall’artista bernese in due anni, dal 2013 al 2015, esposti in questa grande installazione finora inedita. Visitare il foyer del Lac è un’esperienza sorprendente. “La vera arte è caratterizzata da un impulso irresistibile dell’artista”, diceva Albert Einstein. L’impulso di Raetz è senz’altro quello di stupire e far riflettere.

Il nostro volto è il risultato delle caratteristiche ereditarie, delle influenze esterne, del nostro stile di vita caratteriale e alimentare. Tutti questi fattori ci influenzano fin dall’infanzia; crescendo, un po’ alla volta si forma un determinato carattere e i principi ai quali ci siamo conformati diventano visibili sul volto, su cui si incidono le nostre condizioni economiche e sociali, l’intelligenza o la stupidità, l’onestà o la disonestà, così come gli stravizi e gli abusi alimentari. “Lo bono pittore ha da dipingere due cose principali, cioè l’homo e il concetto della mente sua” diceva Leonardo da Vinci nel Trattato della pittura.

La fisiognomica, cioè lo studio dei lineamenti e dei tratti del volto per cercare di interpretare il carattere di una persona, affonda le radici nell’antica Grecia, ma tali studi sono stati rilevanti per tutta l’epoca romana, medievale e soprattutto rinascimentale. Alla fine del Quattrocento gli scritti e i disegni di Leonardo da Vinci sull’anatomia, la fisiognomica e le proporzioni del corpo e del volto suggerirono il legame tra il volto e i “moti dell’anima”. Dello stesso periodo, le pubblicazioni di Giovanni Battista Della Porta (che associava il tratti dell’uomo agli animali) e Girolamo Cardano che studiava rughe e nei della fronte. Tra i padri della fisiognomica moderna, il teologo svizzero Johann Kaspar Lavater, e Franz Joseph Gall, padre della frenologia, lo studio della mente. Gall sosteneva che le facoltà morali di una persona risiedono nelle varie aree del cervello e che la struttura delle ossa craniche è la rappresentazione esterna dello sviluppo di queste aree cerebrali. Da questi studi partì Cesare Lombroso per sostenere che la propensione alla delinquenza si può leggere nella struttura della testa umana. È la nascita della moderna criminologia. Intorno al 1930 lo psichiatra francese Louis Corman diede vita alla morfopsicologia, ovvero lo studio dei tratti del volto non come tratti statici ma in continua trasformazione.

Tra le fonti dell’opera di Raetz, Lombroso, Corman e il Practical character reader, manuale del 1902 dove vengono analizzati i profili delle tipologie umane, donato all’artista che da qui attinge molte delle sue fisionomie. Il resto viene dalla vita, dagli incontri casuali o meno che ci mettono faccia a faccia con l’altro. “Se la sera vedo un film con Anthony Hopkins – racconta l’artista – il giorno dopo avrò in mente la sua fisionomia o se poco prima di arrivare all’atelier incrocio qualcuno con un naso importante sarò istintivamente portato a modellare un profilo con un grosso naso”.

Grossi nasi, bocche aperte, espressioni di rabbia, sorriso, stupore, facce attonite, perplesse, felici. C’è di tutto nella Chambre de lecture, una serie di volti divisi in dodici gruppi, ciascuno di sei file per sei profili ognuna. L’impatto, entrando nella stanza, è fortissimo. All’inizio mi sono sentita circondata. Poi, ho iniziato a soffermarmi sui singoli profili. Lo sguardo generale porta pian piano a una indagine più intima. Questi profili in filo metallico (i primi furono realizzati con le grucce da lavanderia) sono legati fra loro da un filo trasparente. Accadeva allora che a ogni mio movimento, l’aria si spostava e questo faceva muovere i profili. A volte tornavano linee indistinte, a volte si ponevano tutti in fila, altre volte sembravano dialogare, discutere persino, e poi darsi le spalle. I profili si animavano, prendevano vita.

Markus Raetz ha sempre avuto talento nell’animare volti da oggetti inanimati. Come nel 1984 quando creò Der Kopf, una serie di piloni in cemento nel prato del Merian park di Basilea che, cambiando prospettiva, mostrano un volto umano. Volti dal cemento, volti da foglie di eucalipto, volti da fili di ferro. Raetz indaga come nessuno la mutevolezza delle percezioni ma stavolta va oltre, scruta le espressioni. Ciò che rappresentano e ciò che nascondono. È passato molto tempo da quando per guadagnarsi da vivere realizzava caricature. Ma la sua passione infinita per il volto e per lo studio di tutte le sue espressioni è la stessa, sorprendente, un impulso irresistibile.

– Nataliya Shtey Gilardoni –