tettamanti (2)

L’importanza della cultura aumenta sproporzionatamente quando assume anche il ruolo di difesa identitaria, dei costumi, della storia di una minoranza già di per sé più gracile. Cultura intesa in senso antropologico, dove le manifestazioni del LAC, il Festival del film di Locarno non ci devono far dimenticare le testimonianze dei castelli di Bellinzona, ma neppure le processioni di Mendrisio o le innumeri tradizionali sagre di paese, le testimonianze della nostra cucina, dei prodotti nostrani, della (micro)economia, della vita anche al quotidiano della nostra terra. La cultura è forse la più efficace difesa e protezione delle nostre radici. Indiscutibili in questa difesa il ruolo e l’importanza della RSI che ha dalla sua il quasi monopolio dell’immagine nella comunicazione, la forza di una presenza a 180 gradi, un nucleo di oltre mille persone ed oltre 200 milioni di franchi che possiamo legittimamente pretendere come atto di solidarietà nazionale per la difesa della cultura di una minoranza che permette alla Svizzera di essere quello che è.

Ora questi 200 milioni possono essere in pericolo – l’ho anticipato otto anni fa – se non sappiamo difenderli con intelligenza ma oltre tutto con il sostegno corale di tutti i ticinesi. Tale sostegno, malgrado statistiche più o meno di comodo, non esiste. Non esiste perché diffusa è l’impressione che i 200 milioni servano innanzitutto al mantenimento di una corporazione e dei suoi interessi e che la corporazione sia ideologicamente condizionata. Come possiamo combattere possibili, anche esagerati pregiudizi, far sì che la RSI sia sentita cosa comune? Sappiamo che in particolare la parte creativa e di informazione della RSI è contraddistinta dalla presenza di una forte maggioranza di persone che genericamente possiamo definire di area di sinistra e ciò in palese squilibrio con la realtà del Paese. Ognuno ha il diritto (dovere) di professare le idee che vuole (o anche in taluni casi di seguire l’onda che meglio aiuta la carriera). Quello che non possiamo pretendere è che i giornalisti, gli operatori culturali, si trasformino in robot, vale a dire pretendere da loro la famosa oggettività. Nessuno di noi è oggettivo, siamo tutti influenzati dal nostro vissuto, dall’educazione ricevuta, dagli studi, dalle convinzioni formatesi nel tempo e altro ancora. Possiamo cercare di essere equilibrati, cauti, tolleranti, ma alla fine il nostro giudizio sempre avrà una componente soggettiva e di parzialità. Anche nella scelta di chi viene invitato ad informare e dibattere, nel modo di preparare la scaletta degli argomenti, formulare le domande. La situazione non è sempre grave o irreparabile, ma il sospetto dell’inclinazione rimane.

L’unica soluzione (sempre parziale) può consistere nel cedere qualche spazio per informazione e dibattito in gestione a terzi differentemente caratterizzati. Ho già proposto ad esempio uno spazio alternato per i direttori dei nostri quotidiani, al quale è stato immediatamente opposto il pericolo (oggigiorno specioso) di far spazio alla concorrenza. Parimenti, per avere un corale sostegno sarebbe opportuno rivedere la struttura della CORSI. Entrata in funzione in altri tempi, oggi rammenta molto nella incetta per le «tessere» gli usi di certe sezioni di partito delle borgate romane. Complimenti a chi con ciò riesce a detenere il potere e ai dipendenti che si assicurano che sia in mani amiche. Ottimi allievi di Hans Morgenthau e Carl Schmitt. Forse è giunto però il momento di fare una riflessione sulla struttura CORSI tenendo conto anche di interessi generali un tempo meno incombenti. Potrei suggerire l’elezione del Comitato CORSI per sorteggio, esempio di democrazia non influenzabile e sistema già applicato nella storia. Circostanza di gran lunga più preoccupante però è l’indifferenza, anzi la soddisfazione con la quale si è preso atto delle dimissioni dei rappresentanti leghisti dal Comitato. Fossero anche stati dei rompiscatole l’assenza di chi rappresenta quasi un terzo dei votanti ticinesi non può insipientemente venir considerata motivo di soddisfazione ma ha da essere ragione di grave preoccupazione, cementa una contrapposizione parrocchiale che nel tempo danneggerà la nostra posizione verso la Berna confederale.

Infine un accenno all’assenza della dirigenza e di giornalisti di punta della RSI nei dibattiti di ogni giorno nel Paese. Leggiamo delle attive presenze per contro delle migliori penne dei nostri quotidiani, di pubblicisti quali Tuor, Fazioli, Sofia (questi due ultimi punte di diamante che burocratica, forse gradita ottusità della RSI non permette di utilizzare). Non ricorre quasi mai il nome di giornalisti RSI. Pigrizia, sufficienza, disinteresse, mancanza di vera notorietà e autorevolezza?

È giunto per i dirigenti di RSI e CORSI il momento di scegliere. Associarsi miopemente con l’interessato sostegno di Berna in battaglie di difesa di prerogative e potere o usare la propria influenza per condividere con il Paese la difesa della cultura e di quanto la Confederazione ci deve.

Tito Tettamanti

(pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dewll’Autore)