Quadri in questo articolo dice una cosa assolutamente ovvia (ma fa bene a dirla). Il partito PS-PLR-PPD (nel caso presente la denominazione non è affatto abusiva) NON vuole applicare il 9 febbraio (121a), anche se è un articolo che appartiene alla nostra Costituzione. Più chiaro di così!
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Tener duro o capitolare? Questa, in sostanza, la scelta che dovranno compiere i votanti ticinesi il prossimo 25 settembre, esprimendosi sull’iniziativa “Prima i nostri”.
“Prima i nostri” è un 9 febbraio ticinese. E quel voto, quel “maledetto voto”, è necessario ribadirlo con forza. Oggi più che mai. Perché sull’iniziativa Contro l’immigrazione di massa a Berna ci stanno uccellando. Quello che, con un eufemismo alquanto spinto, viene definito “compromesso”, in realtà è un bidone. Se ne sono accorti esponenti di tutte le aree politiche. Non solo Udc e Lega, ma anche PLR e PS (Manuele Bertoli): la legge d’applicazione dell’articolo 121 a della Costituzione federale proposta nell’apposita Commissione del Consiglio nazionale da PLR, PPD, PS e partitini di contorno è anticostituzionale. Perfino Economiesuisse, sponsor storica dei liberali, l’ha impallinata, lasciando il PLR con il “naso in mezzo alla faccia”. Anticostituzionale ed inutile: vengono proposte dei semplici provvedimenti di diritto interno. Cosucce all’acqua di rose. Misuricchie che si sarebbero potute benissimo applicare anche senza bisogno del 9 febbraio. A condizione, beninteso, che ci fosse stato un minimo di volontà di tutelare il mercato del lavoro indigeno dai devastanti eccessi della libera circolazione delle persone. Ma è chiaro: questa volontà mancava in passato e manca anche adesso.
I dati dell’assistenza smentiscono platealmente le statistiche taroccate della SECO sull’occupazione in Ticino. La SECO vorrebbe farci credere che Tout va bien, Madame la marquise. L’assistenza racconta un’altra storia. In Ticino il numero delle persone in assistenza è passato dalle 6000 del 2010 alle oltre 9000 attuali (anche se il Consiglio di Stato, nelle ultime risposte ad interrogazioni, tenta di farne apparire “solo” 7800, giocherellando sui termini). I frontalieri erano 37’500 nel 2006 mentre oggi sono oltre 62’500. Di fatto occupano un posto di lavoro su tre, ovvero oltre il 30%. La media svizzera è del 6%. Il 60% dei frontalieri è attivo nel terziario: cioè in quel settore dove il frontalierato non è complementare alla manodopera ticinese, bensì sostitutivo. Emerge a chiare lettere anche dallo studio realizzato dall’Ustat nel 2013, dove si legge: “i frontalieri sono sempre più simili, in termini di caratteristiche e di orientamento professionale, ai lavoratori residenti”. Quindi li sostituiscono poiché, come tutti hanno ormai capito, possono permettersi di accettare stipendi nettamente più bassi di quelli necessari per vivere da noi. Finché questo “assalto alla diligenza” del mercato del lavoro ticinese non verrà fermato, la pressione al ribasso sui salari ed il soppiantamento nelle assunzioni continuerà imperterrito. Solo gli incauti propagandisti della SECO (che il Ticino l’hanno visto al massimo in cartolina) possono immaginare di riuscire a farci bere la fanfaluca che non esiste un nesso tra impennata dei casi d’assistenza tra i residenti, esplosione del frontalierato (specie nel terziario) e libera circolazione delle persone.
Da questa situazione ovviamente non si esce con le fumogene clausole bernesi, concepite dai partiti storici per compiacere i padroni di Bruxelles. Per questi partiti, la volontà dell’UE è più importante di quella dei cittadini svizzeri. Magari sarebbe allora il caso che i voti per occupare prestigiose cadreghe li andassero a raccogliere nell’UE.
Le clausole bernesi hanno un solo obiettivo: evitare di scalfire la libera circolazione delle persone senza limiti. Di conseguenza, sono del tutto inutili. Perché la libera circolazione è il problema. Quindi le opzioni sono solo due: o la si ridefinisce, o la si disdice. Ridefinirla come? Come chiede l’articolo costituzionale “Contro l’immigrazione di massa” e come chiede la speculare iniziativa ticinese “Prima i nostri”. Ovvero tramite il ritorno alla preferenza indigena. Un principio che è stato in vigore fino al primo giugno del 2004. Stiamo dunque parlando del passato recente (c’erano già internet ed i telefonini), non dei tempi in cui gli uomini giravano con le clave.
Il controprogetto all’iniziativa Prima i nostri è stato elaborato – ma tu guarda i casi della vita – da quegli stessi partiti che hanno voluto, e tuttora vogliono, la libera circolazione senza limiti. Sono i partiti che hanno combattuto il 9 febbraio e che hanno partorito il compromesso-ciofeca nella Commissione del nazionale. E infatti compromesso e controprogetto perseguono il medesimo obiettivo: impedire il ritorno alla preferenza indigena poiché essa metterebbe a rischio (?) la libera circolazione. Sicché la si trasforma da obbligo a semplice auspicio, per privarla di qualsiasi efficacia.
Non facciamoci fregare da quelli che, sia a Berna che in Ticino – e “stranamente” sono gli stessi – vogliono “cambiare affinché nulla cambi”.
Il mercato del lavoro ticinese necessita di un cambiamento vero. Per questo i ticinesi il 25 settembre devono depositare nell’urna un convinto Sì all’iniziativa “Prima i nostri”. Un Sì che costituirebbe, oltretutto, una risposta forte – e necessaria! – ai pateracchi bernesi e alle prevaricazioni di Bruxelles.
Lorenzo Quadri