La soffiata di ieri, sulla possibile prematura uscita della Banca centrale europea dal Quantitative easing, nonostante sia stata prontamente smentita da Michale Steen, il capo dell’ufficio di comunicazione di della Bce, ha avuto notevoli effetti sui mercati.

la cura draghi è debole e lo spread torna a crescere© web la cura draghi è debole e lo spread torna a crescere Il tweet con cui Steen prendeva le distanze dall’indiscrezione pubblicata dall’agenzia americana Bloomberg, in cui affermava che Il Consiglio dei Governatori non aveva discusso questi argomenti, aggiungendo che anzi il Qe sarebbe potuto essere, se necessario, esteso ben oltre il limite provvisorio del marzo 2017, non è infatti servito a tenere a freno la reazione dei mercati, poichè è sempre duro per un mercato drogato da anni di liquidità facile tornare alla realtà. Basti pensare che nel giugno del 2013 quando Ben Bernanke, allora presidente della Bce, annunciò una riduzione degli acquistiti di titoli nell’ambito del programma Qe3, le borse bruciaraono il 4,3% della loro capitalizzazione.

Tra le conseguenze della soffiata vi sono state soprattutto tre effetti: la flessione dei prezzi delle azioni, il rafforzamaneto dell’euro e il divaricamento dello spread, che si è ravvicinato questa mattina a quota 140, segno che i mercati con la fine del denaro facile proveniente dal Qe temono che Paesi come Italia, Spagna e Portogallo tornino nel mirino degli speculatori.

Ma chi è che ci guadagnerebbe davvero dalla fine del Quantitative easing e chi è che invece ci perderebbe se Draghi scaricasse il bazooka?

Dal fronte di chi ne trarrebbe vantaggio potrebbero esserci i portabandiera dell’austerità, come le banche di Germania e Olanda, poichè sono sempre state abituate ad offrire ai clienti rendimenti molto interessanti. Anche se bisogna tener presente gli equilibri di politica interna all’interno di ogni Stato membro, ad esempio in Germania l’Adf, il partito nazonalista tedesco, sta facendo leva sulla retorica che il denaro tedesco finisca nelle mani dei mediterranei scansafatiche. Ma in realtà la Germania sembrebbe essere il primo beneficiaro del Qe e a farsi carico degli acquisti e dei rischi sono soprattutto le banche centrali nazionali.

A brindare sarebbero anche le banche, poichè in borsa i titoli delle banche viaggiano in controtendenza, ovvero in rialzo a differenza degli altri settori. E così la prospettiva di una stretta monetaria, consequenza della riduzione dell’offerta di moneta circolante, è vista con favore dagli istituti di credito, i cui margini di guadagno sono stati compressi dall’allentamento monetario di Francoforte, che ha sostenuto le banche non attraverso il Qe, bensì attraverso le ‘Tltrò (Targeted longer-term refinancing operations), finanziamenti a costo bassissimo finalizzati all’erogazione di prestiti all’economia reale.

A soffrire, invece, della possibile riduzione degli acquisti di Bond, sono invece gli esportatori a cui il rafforzamento dell’euro renderebbe le cose più difficili. Infatti, analizzando l’andamento dei titoli sulle borse europee, emerge che un euro forte mina la competitività dei beni prodotti in Europa rispetto alla concorrenza. Il meccanismo è semplice: aumentando la quantità di valuta in circolazione, il suo valore si deprezza sulla base della legge della domanda e dell’offerta. L’esempio è quello della borsa di londra dopo l’effetto Brexit, infatti con una sterlina che affonda, il made in England costa meno e i produttori britannici aumentano l’export.

Fonte: Il Giornale