In Venezuela, il governo e l’opposizione si erano già incontrati a fine ottobre, per tentare di mettere fine alla crisi che attanaglia il paese e trovare le basi per un “dialogo nazionale”.

Un incontro che, da parte del governo, aveva portato alla liberazione di 5 detenuti e, da parte dell’opposizione, alla sospensione del procedimento politico chiesto all’Assemblea contro il presidente Nicolas Maduro.
Da inizio novembre vi sono poi state diverse riunioni a porte chiuse per discutere della disastrosa situazione economica, della questione dei diritti dell’uomo e del calendario elettorale. Nuova scadenza per un nuovo incontro : venerdì 11 novembre. L’opposizione ha promesso che se non vi saranno progressi concreti, tornerà a indire proteste di massa nelle strade del paese.

“Abbiamo indetto una tregua dopo una richiesta specifica dell’inviato del Vaticano – ha detto il Segretario dell’opposizione – ma questa tregua termina venerdì. Ora, per continuare il dialogo pretendiamo la liberazione di tutti i prigionieri politici.”

Un’altra rivendicazione, non negoziabile, è lo scrutinio per tentare di uscire dalla crisi. Il processo del referendum revocatorio contro il presidente Maduro è fermo da tre settimane. L’opposizione esige che sia rimesso in marcia, oppure che la data delle elezioni presidenziali sia anticipata al primo trimestre 2017 (invece del dicembre 2018).

Il campo presidenziale respinge l’ultimatum e parla di “vane speranze”, precisando che non vi saranno né il referendum per la revoca del mandato presidenziale, né le elezioni anticipate.

Malgrado qualche accenno di dialogo, i due campi rimangono fermi sulle proprie posizioni e ogni compromesso sembra difficile. Rimane la dichiarazione dell’inviato a Caracas di Papa Francesco, l’arcivescovo Claudio Maria Celli, il quale ha dichiarato che se una delle due delegazioni si ritira dal dialogo, il popolo del Venezuela potrebbe andare verso una stagione di guerra e sangue.”