trump-111Che cosa farà Donald Trump una volta eletto presidente degli Stati Uniti non ci è ancora dato di sapere, innanzitutto per quel che riguarda i rapporti con l’Europa, decisivi per il nostro continente e naturalmente anche per la Svizzera. Un eventuale disimpegno trumpiano dal cosiddetto “ombrello atlantico” potrebbe effettivamente cambiare le sorti (in meglio? in peggio?) a breve termine in ambito europeo: alcuni, sulla stampa internazionale, già invitano a una presa di responsabilità europea onde salvare democrazia, valori e, anche, la sicurezza continentale e delle terre confinanti con un “approccio europeo” e non più americano. D’altro canto, una forte alleanza Trump-Putin porterebbe l’Europa in una di quelle posizioni, ben esemplificate in “1984”, il celebre romanzo di Orwell, da “terzo incomodo” dell’eterna guerra delle alleanze maggioritarie ed escludenti il “terzo fattore”.

Ma questa breve premessa “geostrategica” non è null’altro se non una premessa, appunto, giacché la “figura” di Donald Trump, qualsiasi cosa faccia, nel bene e nel male, si è affermata nell’arena dello scandalo e grazie allo scandalo. Lungi dall’essere una novità – già ai tempi di Cicerone e di Catilina, nell’antica Roma, ci si confrontava sul “personale” al punto che c’è anche una figura retorica chiamata “ad hominem” che indica gli attacchi personali – lo screditamento dell’avversario politico ha assunto, con Trump, valenze del tutto prevaricanti sul messaggio politico. Astraendo da Clinton e Trump – cosa decisamente impossibile visto il tenore della campagna elettorale a cui abbiamo assistito – se si considera (e si sarebbe dovuto farlo) il programma politico dei due contendenti, sarebbe emerso, a Roic 123 (2)livello americano locale che il programma democratico garantiva miglioramenti in un orizzonte anche sociale (in special modo dopo le “concessioni” fatte alle idee di Bernie Sanders), mentre quello di Trump riesuma programmi reaganiani del tutto inadatti alla realtà odierna; per fare un solo esempio, quella dell’ambiente che ci circonda. A livello globale, certo, la figura di Hillary è stata dipinta come l’effigie di una globalizzazione rampante, cosa in parte pure vera, dimenticando completamente, però, che in un clima di totale deregulation (l’orizzonte ideologico Reagan-Trump) non è tanto una globalizzazione generica, reale o fittizia, ad agire sulle sorti dei cittadini americani (e pure non americani, vista l’influenza degli USA nel mondo), quanto lo è un capitalismo senza volto e senza responsabilità sociale che può benissimo, come probabilmente farà, adeguarsi all’ulteriore deregulation prossima ventura americana rinunciando magari all’inizio del mandato Trump a qualche sponda globale per mantenere comunque i suoi guadagni e il suo rampantismo a livello nazionale (americano e non) a causa della crescente mancanza di possibilità di contrattazione in grado di difendere il mondo del lavoro.

Insomma, se il programma politico di Trump prevede un aumento dei posti di lavoro interni agli USA, bisogna pur sempre chiedersi di che posti di lavoro si tratterebbe, visti gli attuali “minimi” orari che gravitano attorno agli scandalosi 8 dollari per ora di lavoro.

L’altro elemento inquietante della figura di Donald Trump è, appunto, come già accennato sopra, il modo in cui ha realizzato la presa del potere. Un modo che ha ben poco a che fare con la politica delle idee, delle proposte e delle soluzioni razionali, e molto, anzi moltissimo, con una demagogia farsesca e con un continuo e incessante ricorso allo scandalo che, al giorno d’oggi, sembra attirare mediaticamente la grande parte della popolazione mondiale. Insulti, minacce, muri, sessismo, razzismo e chi più ne ha più ne metta hanno caratterizzato la “laida cavalcata” di Trump verso la vittoria. E allora ha pienamente ragione di definirlo un “Berlusconi maggiorato” il nostro politologo cantonale, Oscar Mazzoleni.

Ciò detto, sarebbe davvero macroscopico non considerare gli errori della parte democratica la cui candidata, Hillary Clinton, si trascina una “promessa” di otto anni fa elargitale dall’Obama vincitore delle primarie democratiche: quella di correre per la presidenza, in campo democratico, alla fine del suo mandato. In otto anni tante cose sono cambiate e la “perdente” Hillary di allora si è trasformata nella zavorra decisiva che ha permesso a un personaggio del tutto fuori contesto e impolitico come Trump di avere il sopravvento.

Sergio Roic