Un interessante post di Paolo Pamini, granconsigliere di Area Liberale (gruppo “la Destra”) ha innescato e continua ad innescare un vivace dibattito su Facebook, cui prendono parte note personalità dell’Ultrasinistra, come Martino Rossi, Alberto Leggeri e Sergio Roic (tipi che ai tempi, quando ero giovane, avremmo definito PSA…)

Vi propongo ora un articolato post di Pamini, che non mancherà di suscitare proteste. Pamini stesso – e a lui si unisce il direttore di Ticinolive – invita Rossi a replicare. Il portale sarà ben lieto di concedergli spazio.

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allende
pinochet2Martino Rossi  
Ho una sola domanda per Paolo e Franz (Forti), e per chiunque voglia rispondere. Vi prego, rispondete solo con un SÌ o con un NO. Ha fatto bene Pinochet a destituire Allende con un golpe e a instaurare in Cile una dittatura militare?

Paolo Pamini  Caro Martino, caro Francesco (Sottobosco), caro Sergio, scusate il ritardo ma sono giornate molto intense con il lavoro.

La mia risposta è un chiaro NO.

Sono un liberale classico, credo nell’inviolabilità dei diritti naturali di ogni singola donna e uomo, a partire dal diritto di proprietà su se stessi (e quindi alla vita) e dei frutti del proprio lavoro. Pertanto Pinochet non ha fatto per nulla bene ad instaurare una dittatura militare e i crimini che lui ed i suoi uomini hanno commesso non permettono scuse. Ben han fatto gli svizzeri ad accogliere gli esuli, uguale di che credo politico.

Per inciso: esattamente per lo stesso motivo sono convinto che nemmeno Castro abbia fatto bene ad instaurare una dittatura, così come Pol Pot, o più recentemente Chavez e ora Maduro.

Inoltre, esattamente per gli stessi motivi ritengo che Pinochet abbia invece fatto bene a destituire Allende. Si può ragionevolmente credere (non ne avremo mai le prove ma abbiamo tanti tristi termine di paragone) che la destituzione di Allende abbia risparmiato molte sofferenze alla popolazione cilena (non quella perseguitata da Pinochet, naturalmente), che sarebbe stata affamata dalle conseguenze delle politiche di Allende. Il link riportato da Franz qualche giorno fa sul crollo dei salari in così poco tempo la dice lunga.

In questi giorni di dibattito sono emersi molti dettagli storici. Negli anni prima del colpo di stato Allende aveva sistematicamente violato i diritti di proprietà di una vasta fascia della popolazione, spostando capacità produttiva sotto il suo controllo senza indennizzare gli espropriati.

Pinochet avrebbe fatto bene ad evitare le imperdonabili ed ingiustificabili efferatezze e piuttosto mettere in sicurezza il Paese per riconsegnarlo alla democrazia. Forse oggi interverrebbe una coalizione internazionale per garantire la pace nel periodo di transizione. È chiaro che con il senno di poi siamo tutti bravi a dire cosa e come si sarebbe dovuto fare.

E proprio qui arriva il mio post iniziale, che tanto ha colpito chi nella superficialità del mondo d’oggi parte lancia in resta senza neppure leggere la citazione.

Le politiche di sviluppo economico promosse dalla dittatura *sanguinaria e disumana* di Pinochet hanno posto le basi di uno sviluppo e di un benessere materiale che necessariamente avrebbero presto o tardi decretato la fine della dittatura stessa. Il paragone con altre dittature è pertanto eclatante: perché dopo 60 anni di castrismo Cuba non è la nazione più ricca del Centroamerica (misurata come volete, in termine di mortalità infantile, potere d’acquisto di 1h di lavoro, speranza di vita ecc ecc) mentre i cileni oggi sono i cittadini mediamente con il maggior benessere del Sudamerica? E che dire del Venezuela, che è riuscito a distruggere il proprio vantaggio relativo?

La mia conclusione è molto semplice: non può esserci libertà politica senza libertà economica, ma può esserci una (parziale) libertà economica senza libertà politica. Ed in presenza della libertà economica (per quanto monca), presto o tardi arriva anche quella politica perché un regime autoritario non è più tollerato o sostenuto da gran parte dei cittadini. In tal senso sarà interessante capire cosa succederà nei prossimi decenni in Cina.

Paolo Pamini