Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo testo, che non impegna la Redazione. L’unico commento che mi sento di fare è il seguente. L’apparato statale si gonfia senza sosta e senza fine, e l’apparato della magistratura non fa certo eccezione. Mi sembra di ricordare, ad esempio, che i giudici del Tribunale d’appello fossero 17, e non erano tempi remotissimi. Ora 26 (sarà giusto?). Per quanto riguarda i procuratori… lascio al lettore il piacere di rammentare.

Naturalmente, per ogni cosa c’è una buona ragione.

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MeliIl 12 febbraio si vota sulla riduzione dei giudizi dei provvedimenti coercitivi. La proposta è stata inserita in modo improvvisato e senza convincenti motivazioni nel pacchetto di misure di risparmio. Ma un intervento che presuppone una modifica della Legge sull’organizzazione giudiziaria e che tocca l’entità e/o la composizione di un tribunale, non può essere considerato semplicemente come organizzativo/amministrativo (con effetti limitati al risparmio). Quello proposto dal Consiglio di Stato e accettato dal Gran Consiglio costituisce, di fatto, una misura di tipo strutturale nei confronti del potere giudiziario. Un intervento con tali caratteristiche, richiedeva di (perlomeno) interpellare preventivamente l’Ufficio interessato e, soprattutto, il Consiglio della Magistratura, e ciò nel rispetto della separazione dei poteri.

Il chiaro contenuto dello scritto indirizzato dal Consiglio della Magistratura al Gran Consiglio il 25 luglio 2016 evidenzia come gli argomenti (peraltro scarni) indicati dal Governo nel Messaggio 7184 del 20 aprile 2016 (punto 4.1.4), rispettivamente dalla Direzione della Divisione della giustizia in un’intervista apparsa su LaRegione (24 maggio 2016), sono privi di fondamento ed errati. Inoltre, sono totalmente assenti considerazioni relative alle peculiarità dell’attività giurisdizionale svolta dai Giudici dei provvedimenti coercitivi e alla sua importanza in relazione ai diritti costituzionalmente garantiti, rispettivamente alle argomentazioni contenute nei messaggi governativi e nei rapporti parlamentari, che avevano presieduto alla costituzione (e composizione) dell’Ufficio e verificato l’attività (Rapporto 6242 del 29.9.2010; Messaggio 6823 del 25.6.2013; Rendiconti Consiglio della Magistratura 2011-2015). Il metodo utilizzato per formulare una proposta o giungere a una decisione non è neutro; nel caso specifico è indice di scarsa serietà.

L’analisi dei dati non permette di dare il benché minimo fondamento alla riduzione. A partire dal 1° gennaio 2011 i Giudici dei provvedimenti coercitivi hanno sostituito i Giudici dell’istruzione e dell’arresto (GIAR) e i Giudici di applicazione della pena (GIAP). I dati dei rendiconti (numero delle decisioni) evidenziano come le competenze “perse” dal GIAR in materia procedurale sono risultate di fatto compensate, per il Giudice dei provvedimenti coercitivi, dall’incremento delle decisioni in materia di (sole) misure coercitive (introduzione della decisione obbligatoria per la carcerazione di sicurezza; riduzione del termine da 6 a 3 mesi della durata massima della prima decisione di carcerazione preventiva), senza contare l’aumento degli obblighi procedurali relativi alle singole decisioni e senza considerare il fatto che il Codice di procedura penale unificato ha attribuito al Giudice dei provvedimenti coercitivi anche la competenza in materia di provvedimenti coercitivi richiesti o adottati dal Ministero pubblico della Confederazione (sede distaccata di Lugano). A ciò si aggiunge il fatto che ai Giudici dei provvedimenti coercitivi sono state attribuite tutte le competenze decisionali in materia di applicazione della pena (operazione che ha già condotto a un importante risparmio, in quanto ha “permesso” l’abolizione della Sezione pene e misure e del Giudice d’applicazione della pena supplente). Le modifiche del Codice penale adottate dall’Assemblea federale nel giugno 2015 (la cui entrata in vigore dovrebbe aver luogo nel corso del 2017) attribuiscono inoltre ulteriori competenze ai Giudici dei provvedimenti coercitivi (proprio in materia di esecuzione della pena, vedi braccialetto elettronico e lavoro di pubblica utilità, per citarne due). La misura “di risparmio” non si giustifica, quindi, né dal punto di vista statistico, né da quello funzionale.

Da ultimo, ma non ultimo, occorre ancora ricordare che il Giudice dei provvedimenti coercitivi è il giudice preposto al controllo della legalità di restrizioni, per motivi d’inchiesta, a diritti costituzionalmente garantiti. Il limitato tempo a disposizione per l’emanazione e la motivazione delle decisioni (48 ore per l’eventuale conferma dell’arresto, rispettivamente 5 giorni per quasi tutte le altre) fanno sì che approfondimenti, aggiornamenti e riflessioni di carattere legale e generale debbano avvenire in modo prevalente in momenti che precedono la decisione concreta. Una diminuzione del numero dei giudici (di un quarto nel caso specifico) avrà, indubbiamente, un influsso negativo sulla qualità del lavoro (motivazione e fondatezza delle decisioni; rispetto effettivo delle garanzie e dei termini procedurali). Appare in effetti evidente che un sovraccarico del 30% circa del loro onere d’attività non potrà essere privo di conseguenze. E ciò in un ambito che uno Stato che si pretende di diritto ha l’obbligo di salvaguardare il più possibile.

La dignità dell’esercizio di una funzione giudiziaria è presupposto indispensabile alla salvaguardia della dignità delle persone che ne possono essere oggetto (attivo o passivo), cioè di tutti, ovvero di un funzionamento effettivamente democratico delle istituzioni. Svendere anche solo un pezzetto di tale dignità per il proverbiale piatto di lenticchie è operazione assolutamente miope sotto tutti i punti di vista.

Edy Meli, avvocato