Il governo Trump sembra affrontare la sua prima vera crisi a distanza di neanche un mese dall’insediamento del nuovo presidente nella Casa Bianca.

Il 27 gennaio, Trump ha infatti emanato l’ormai tristemente famoso Muslim Ban, un ordine esecutivo che vieta per 90 giorni l’ingresso negli USA di persone provenienti da sette paesi a maggioranza islamica: Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. Inoltre lo stesso ordine esecutivo vieta per 120 giorni l’ingresso di tutti i richiedenti d’asilo e per un tempo indeterminato invece l’ingresso dei richiedenti d’asilo siriani.

La scelta dei paesi coinvolti ha causato sin da subito qualche perplessità in quanto nessun atto terroristico negli Stati Uniti è stato perpetrato da persone provenienti dai sette paesi sopracitati, bensì da altri che non sono inclusi nel divieto. Trump e la sua amministrazione hanno cercato di giustificare la scelta sostenendo di aver fatto riferimento a una lista di paesi che il precedente governo Obama aveva riconosciuto come a rischio di terrorismo. In relazione alla questione dei sette paesi il Post scrive che essa “si riferisce a una scelta di portata e impostazione assai diversa: Obama li aveva inclusi in una riforma degli ingressi che aveva portato, dopo gli attentati di Parigi del 2015, solo a sospendere il Visa Waiver Program (la possibilità per certe persone di arrivare negli Stati Uniti senza un vero visto) per le persone con la nazionalità di quei paesi”. Il muslim ban di Trump invece include qualunque tipo di viaggiatore: dagli studenti ai turisti, dai nuovi immigrati ai registi musulmani nominati all’Oscar.

L’ordine ha causato immediatamente confusione e innumerevoli problemi pratici con persone provenienti dai paesi interessati che si trovavano già in viaggio al momento della firma o che erano in possesso di una regolare green card (permesso di residenza permanente negli States). Il caos generato dalla decisione era dovuto principalmente alle modalità con cui è stata presa, ovvero di fretta, senza consulto con le diverse agenzie di sicurezza americane e senza il coinvolgimento di John F. Kelly, capo del ministero degli Interni.

Le manifestazioni di protesta contro quella che sembra essere a tutti una discriminazione religiosa non è stato l’unico effetto collaterale della scelta della nuova amministrazione. Martedì 7 febbraio si è svolta presso la IX Corte d’Appello federale di San Francisco l’udienza per la sospensione del muslim ban definito “discriminatorio e dannoso”. Nonostante la difesa abbia fatto leva sulla sicurezza nazionale, la Corte d’Appello “ha respinto il ricorso del governo americano e dunque confermato la decisione del giudice federale di Seattle, James Robart”. Il collegio scrive “Non c’è alcun precedente per sostenere questa pretesa non rivedibilità, che va contro la struttura fondamentale della nostra democrazia costituzionale”.

In risposta al nuovo schiaffo da parte della magistratura Trump twitta “Ci vediamo alla Corte Suprema, è in gioco la sicurezza della nazione”.