Eliseo di notte 400

È il 10 giugno 1960, sono le 21.50. Sull’Eliseo è da poco caduta la notte. Tre automobili entrano nella grande corte. Ne scendono un generale, un colonnello e l’uomo di fiducia del presidente, Bernard Tricot. Poi Si Salah, Si Lakhdar e Si Mohamed, uomini del FLN, emissari della rivoluzione d’Algeria. “Sarete ricevuti dal generale de Gaulle questa sera alle dieci” aveva detto loro Tricot.

Il segreto dev’essere assoluto. La Francia è in guerra. Il capo della nazione può parlare con il nemico? No. O forse sì, ma nessuno lo deve sapere. I sei attraversano una serie interminabile di corridoi, di sale, di uffici.

Alle 22 in punto entrano nel grande ufficio del presidente della Repubblica. De Gaulle è già seduto alla sua scrivania. Tricot si pone alla sua destra, il colonnello Mathon alla sua sinistra. Con un ampio gesto della mano il presidente prega i tre inviati algerini di accomodarsi.

Nessuno li ha perquisiti, sarebbe stato impensabile. Potrebbero tentare un gesto disperato contro il capo della nazione nemica? Chissà. Dietro un’alta tenda di velluto, invisibile, sta uno degli uomini della scorta del generale, con il mitra spianato. Pronto, al minimo movimento sospetto, ad aprire il fuoco. I tre capi della wilaya salutano militarmente. Ma de Gaulle è in civile. Estrae da una tasca del suo completo grigio scuro un paio d’occhiali. Ma non li inforca e guarda intensamente i suoi “ospiti”.

“Signori, vorrei dapprima definire la mia posizione, che è quella della Francia”. Il presidente parla per dieci minuti. “La nuova Algeria deve nascere con la partecipazione di tutti. Nell’attesa del referendum sull’autodeterminazione propongo un cessate il fuoco. Agli insorti che deporranno le armi sarà riconosciuto lo statuto di combattenti”.

“Dovremo poter convincere i nostri fratelli. Dovremo poterci muovere liberamente sul territorio”.
“Potrete”.
“Vogliamo che lei, presidente, si rivolga pubblicamente al nostro governo provvisorio”.
“Lo farò. Tra pochi giorni nel mio discorso alla televisione”.
“Se i nostri capi accetteranno, non sentirete più parlare di noi. Se non accetteranno, tenteremo ancora”.

Lo straordinario incontro segreto volge al termine. Il generale si alza. Tutti si levano in piedi. “Signori, io non posso darvi la mano, perché siamo ancora nemici. Ma vi saluto”. I tre algerini rispondono, emozionati, con il saluto militare. Lentamente, accompagnati da Tricot e Mathon, attraversano il bureau presidenziale e si dirigono verso l’uscita.

Parigi, in quella calda splendida sera di primavera inoltrata, non seppe nulla.

Nella foto: Si Salah