È stato uno dei casi giudiziari più seguiti degli ultimi anni quello della 13enne Yara Gambirasio, uccisa all’uscita della palestra dove praticava ginnastica ritmica e il cui corpo era stato successivamente ritrovato in un campo di Chignolo d’Isola.
Il 18 luglio scorso tuttavia la vicenda sembra aver avuto una fine con la condanna da parte della corte d’Appello di Massimo Bossetti.
L’uomo era stato arrestato il 15 giugno del 2014 nel cantiere dove svolgeva il suo lavoro da muratore e da allora è sempre stato il principale sospettato. La sentenza del 18 luglio è quella già pronunciata al primo processo: l’ergastolo. I giudici si erano ritirati alle 9.30 e ci sono voluti ben 15 ore per prendere una decisione. La decisione dunque è stata sofferta e la causa di questo è che la prova schiacciante, il DNA di Bossetti trovato negli slip di Yara, era un campione misero, parziale, anomalo. La quantità esigua di DNA ha reso quasi impossibile un secondo confronto.La condanna è arrivata a mezzanotte e Bossetti, assieme alla moglie, l’hanno accolta in lacrime mentre l’avvocato Claudio Salvagni ha definito la sentenza come una “sconfitta del diritto”, “il ricorso in Cassazione è scontato” ha aggiunto.
Ma il DNA non era l’unica prova: c’era il furgone dell’imputato immortalato dalle telecamere davanti alla palestra di Yara e le fibre dei sedili della sua auto sui vestiti della vittima. “Giustizia è fatta, le carte processuali dicono che la sentenza andava confermata” afferma il legale Enrico Pelillo a nome dei genitori di Yara che si sono dichiarati “sereni” di fronte alla sentenza.