Concorso Internazionale LUCKY, di John Carroll Lynch

Quanto è bella la vita! Si, bellissima nel quotidiano di chi sente che « la data di scadenza » si avvicina. Ma la visione del tempo che scorre è il sorriso che ci resterà quando tutto questo non esisterà più e entreremo nel buio eterno. Sorridere alla vita, ma anche alla morte. Vivere l’attimo, felici o incazzati con il prossimo. Con la consapevolezza e la convivenza con la morte e con la  vita. Umani forgiati dai vissuti dalle esperienze che abbiamo assimilato, elaborato, fatte nostre. Guidati da noi stessi nella nostra strada di vita. È la nostra vita, insieme agli altri. Vedere con lucidità e senza rimpianti che l’utopia dell’essere eterni, che è la visione dei nostri venti anni, si evolve in ciò che veramente siamo: provvisori. Ma colmi di tracce che il mondo ci lascia e che noi lasciamo al mondo. Un film che dà emozioni forti. Si ride, si piange. Commossi e consapevoli   della nostra fragilità di uomini temporaneamente qui. Giovani dentro, curiosi del mondo, lo ammiriamo consapevoli che un’idea di eternità appartiene più ai cactus centenari o alle tartarughe che possono vivere fino a 200 anni. che a noi. L’immagine finale con Lucky che contempla un vecchissimo cactus, ferito dalle cicatrici del tempo. Nato prima di lui, vivrà dopo di lui. E Lucky percorre la sua strada verso casa sorridendo. E Roosvelt, la testuggine, si trascina lentamente  con la sua pesantissima corazza che la protegge in vita e che sarà, tra molto tempo, anche la sua bara. Roosevelt, come il presidente. Quello che ha vissuto e superato il diavolo del nazismo. Si, l’abbiamo vinto, ce l’abbiamo fatta. E siamo qui, per un mondo migliore. Sempre. Sotto la protezione della corazza protettiva alla nostra voglia di farci del male e di fare del male.

Un film di ricordi, di esperienze di vita, di visione sul mondo. Un film da applaudire e condividere. Come le cose migliori che ci capitano.

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Concorso internazionale WAJIB, di Annemarie Jacir

Vi è un giorno speciale previsto nella vita di Abu Shadi, sulla sessantina, insegnante, divorziato, abitante di Nazareth. La figlia ha deciso di sposarsi per Natale. Si attende che la ex-moglie, mamma della sposa, che ora vive negli Stati Uniti, approfitti delle vacanze di Natale, le uniche che le concedono. Per questo motivo questa « strana » data per il matrimonio. Vi è una consuetudine, specialmente tra i palestinesi del nord che è chiamata Wajib, il dovere sociale. Prevede che gli inviti siano consegnati personalmente dal padre della sposa insieme ad un altro membro della famiglia. In questo caso il fratello che vive da lungo tempo a Roma e che ritorna per questo dovere. Ed è l’accompagnare padre e figlio nel loro consegnare inviti il perno sul quale entriamo nella realtà di questa famiglia palestinese. Un quotidiano che è fortemente influenzato dalla presenza oppressiva e ingerente da parte degli israeliani. Israele che con la Palestina sta provando per la primissima volta, nel dopoguerra nazista, l’essere uno Stato e non, come prima, semplicemente un popolo.E, anche, dopo la guerra dei 6 giorni, uno Stato che occupa un altro Stato. Una dominazione che viene vissuta sulla pelle dei nostri protagonisti e che la regista, palestinese, ci mostra con gli occhi di un palestinese che viene dall’estero e di un palestinese che la vive a casa sua. Una carrellata color pastello (i colori del film fanno sentire una polvere calda che aleggia su tutto il territorio) che, tra incontri di parenti e amici, ognuno con le proprie storie, i propri rapporti con se stessi e gli altri, ci danno un’idea di una normalità, di un quotidiano sempre sotto osservazione e giudizio delle modalità dettate da Israele. Padre e figlio, hanno visioni opposte della loro Palestina. Il padre la ama, la sente sua, anche se, ammette, « questa non è la Palestina » Ma ci vive e accetta necessari e imposti compromessi. Per la sua scuola, dove non è permesso insegnare la storia del suo popolo. Per la sua carriera, che dipende dal modo nel quale accetta e applica gli ordini di Israele. Il figlio, osservatore esterno, giudica e lo rimprovera. Ma l’amore tra di loro rimarrà intatto. Un bellissimo film che ci insegna quale prezzo bisogna pagare per una convivenza. Sia tra famigliari che tra palestinesi e israeliani. Senza piangersi addosso, anzi. Ma con molta fatalità e rassegnazione ragionata che cerca di dominare gli istinti. Una lezione di vita. Un modo di accettare situazioni inaccettabili. Perchè la felicità nessuno ci ha insegnato la formula per ottenerla. È una perenne ricerca per stare bene. Anche quando, e lo sanno bene gli israeliani che lo hanno vissuto sulla loro pelle sotto l’oppressione nazista, si è costretti a vivere in un lager.

Desio Rivera