“Al red carpet preferisco il vedere i film dei Festival. Il cinema è un modo per raccontare ciò che potrebbe esser vissuto…”

intervista di Chantal Fantuzzi

Ecclettico, creativo, colto e artista. Il Regista Lionel Baier,  ha partecipato come concorrente più volte al festival di Locarno, ma “la vera gioia – dice – non è il red carpet, bensì vedere i film. Poiché il cinema è un modo per raccontare la realtà, e non viverla soltanto.” Il suo primo film – il documentario Celui au Pasteur, lo ha girato quando aveva 12 anni. Diffuso dalla TV Svizzera Romanda, lo proiettò nel mondo del cinema. Da allora non si è mai fermato. Il giovane regista, membro della direzione anche di un altro festival, Vision du Reel, racconta a Ticinolive la sua personale visione del magnifico magico mondo del Cinema.

Come ha iniziato la sua carriera cinematografica?
Venivo al Festival di Locarno a 15 anni, e facevo il programmatore di una piccola sala cinematografia. Avevo un cine club nel quale invitavo i vari registi a presentare i loro film. È stato qui che ho iniziato a incontrare personaggi che lavoravano nel mondo del cinema, al quale, in breve, mi interessai anch’io. Da assistente, a stagista, mi introdussi nell’universo cinematografico.
E poi è diventato regista…
Qualche anno più tardi. Già a 12 anni, per la verità, feci un documentario su mio padre, che era pastore nella Svizzera Romanda, Celui au Pasteur che fu poi acquistato dalla televisione e fu così che iniziai a fare dei film.
Lei è laureato in Lettere. Che relazione c’è tra la cultura letteraria e il cinema?
Il cinema è assai impresso dei riflessi della letteratura, ha importato molti dei meccanismi di narrazione, ma vi è una sostanziale differenza: Quando scrivi hai una notevole quantità d’aggettivi che ti permettono di descrivere, quantificare e donare sostanza, nel cinema non esistono aggettivi. Ciò che supplisce agli aggettivi è il cuore degli attori e gli attrici, e della gente nella strada quando si fanno dei documentari.

Lionel Baier, alla Presentazione di Vision du Reel al Rivellino, 7 agosto 2017 (foto di Francesco de Maria)

Che relazione c’è tra il cinema e il teatro classico? Come si può trasportare la scena del teatro nella scena del cinema?
Sono due cose molto differenti. Il codice non è lo stesso: Il teatro classico funzionava con un codice di rappresentazione molto lontano dalla vita, ciò non vuol dire che non fosse reale, ma che fosse codificato per essere estraniato dalla realtà. Il cinema in generala fa quello che il teatro antico non faceva: si rivolge alla realtà, per donare una lettura del mondo. E’ il piacere di raccontare il mondo, e non soltanto di viverlo.
Uno dei vostri primi film, un Garçon Stupide, può avvicinarsi alla tragedia greca?
Si, potrebbe essere. È la classica immagine dell'”eroe” che cresce. Filmare qualcuno che passa da un’età all’altra, adottare quello che in inglese si chiama un moving- age è un modo per filtrare la realtà e, comunque, raccontarla.
Che relazione c’è tra la pittura – luci, ombre, colori – e il cinema?
Credo vi sia lo stesso gusto o lo stesso rapporto riguardo l’inquadratura e tutto quello che attornia l’immagine. Quando il cinema decide di essere di qualità sceglie di filmare qualcosa che non è normalmente visibile. E’ il rapporto tra l’immagine e il cuore, l’interazione tra il contesto e l’interlocutore a rendere un film unico.

Laioner Baier – Pardo

Come devono essere gli attori per esser scelti da lei?
È qualcosa di elettrico. Sa, ci sono persone con le quali si ha voglia di passare un momento, ed altre con le quali no. Quando decido se lavorare con un attore o un’attrice, il solo criterio per me che sia importante è che abbia voglia di passare del tempo con questi. Occorre che desideri passare del tempo con egli o con ella, per filmarlo. È qualcosa di estremamente irrazionale.
Chimica?
Si, quando si sceglie un attore non occorre riflettere più di tanto ma chiedersi quanta attrazione vi sia perché incarni il protagonista del proprio film.
Si serve dei casting, per sceglierli?
Detesto farli. Quando proprio occorre, per dei ruoli minori, ed accorrono tanti aspiranti attori, non so mai cosa dire loro, né che cosa fare.
Un’atmosfera tropo generica?
Si, troppo generale. Preferisco andare a bere qualcosa e discutere con loro di altre cose. Sapere i loro interessi, conoscerli.
Quale sarà il suo prossimo film?
Al momento sto lavorando su due film, ne sto girando uno in Sud Italia, in Sicilia, sulla relazione tra un padre e una figlia, sullo sfondo della crisi di migranti in Europa, e al contempo sto adattando sullo schermo un libro francese che si intitola la Chasse riguardante la guerra ’39 – ’45, un film che è piuttosto una commedia.
E del Festival di Locarno cosa ne pensa?
La prima volta che venni qua era il 1991, avevo 15 anni ed ero coi miei genitori, poi vi venni come spettatore per qualche anno, poi vi presentai alcuni film in competizione sulla Piazza Grande. Penso sia sempre un momento importante, penso che sia il miglior festival di sempre. Non perché sia qui, a Locarno, quanto piuttosto perché è il miglior festival del mondo: per il rapporto che vi è tra la qualità e i film che si possono vedere e, infine, per l’ambiente. Mi sono spesso ritrovato come giovane spettatore in una sala nella quale c’erano personaggi famosi del mondo del cinema, i quali non era affatto difficile conoscere.
Cosa ha pensato la prima volta che è salito sul red carpet?
Era il 2006, ed ero a Cannes. Personalmente non sono molto impressionato dalla kermesse che fa da sfondo ai Festival. Quando ero solo uno studente amavo andare ai Festival per vedere i film. Eppure, quando sei regista, hai innumerevoli obblighi, dal dover partecipare a un aperitivo, presenziare ai tableaux. Il red carpet è rigoroso, ma non sono particolarmente atto ad esso.
Cosa è cambiato dal cinema della stagione dei kolossal, a oggi, dove a farla da padrone sembrano essere i film d’autore?
Ci sono ancora oggi molti film spettacolari, penso per esempio al nuovo Dunkerque, e penso che la bellezza del cinema sia per l’appunto offrire film sia spettacolari, sia intimi. È per questo che adoro il cinema, sia quello spettacolare che quello d’autore.
Che ruolo ha in Visions du Réel?
Sono membro del consiglio di fondazione, faccio parte della direzione del Festival, ivi ho avuto la fortuna di presentare il mio primo film, quando avevo 24 anni, (Celui au Pasteur, il film su mio padre di cui le parlavo), è un Festival d’importanza mondiale per la cinematografia documentaria. Inoltre si svolge nella Svizzera Romanda, dove sono cresciuto, e per me ha un’importanza particolare.

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