I media hanno informato che una ONG spagnola ha chiesto alla Commissione europea il rendiconto delle spese di viaggio dei commissari per il 2016. Invocando pretesti e carico di lavoro i burocrati di Bruxelles hanno dapprima rifiutato i dati e per finire hanno fornito quelli per il gennaio e febbraio 2016. Le spese di viaggio ammontano alla bella somma di 500.000 euro per i soli due primi mesi dello scorso anno! A quanto pare incide pesantemente su questa voce il ricorso ripetuto all’affitto di aerei privati.
Il volo per una trasferta di due giorni a Roma del presidente Juncker nel febbraio del 2016 è costato ad esempio circa 25.000 euro. A costo di venir considerati dei pignoli ci teniamo a precisare che si tratta di un volo di meno di due ore tra due località ben servite e connesse (ci sono fino ad otto voli giornalieri, tra l’altro di Alitalia, Ryanair e Brussels Airlines) ed il costo medio per un biglietto di andata e ritorno in business class è di 1.200 euro.Si teme che Juncker si affatichi facilmente a Roma, tanto che circolano sue impietose foto dove in prima fila dorme durante un’allocuzione del Papa, ma sulla fatica per un breve percorso non incide per nulla la categoria dell’aereo affittato.
Qualcuno si domanderà perché mi accanisco su una posizione di poche decine di migliaia di euro, quando il bilancio annuale della Commissione supera i 150 miliardi (ovviamente a carico dei contribuenti delle singole nazioni). Proprio questo è l’errore: nel non capire che nelle spese poco controllate, piccole o grandi, della Commissione e dei burocrati di Bruxelles è riscontrabile una pericolosa inclinazione alla spesa facile. Inclinazione spesso ricorrente quando i soldi non sono i propri e quando il controllo è lassista anche perché per superficialità o addirittura disinteresse non ci si preoccupa in modo particolare di risparmiare dato che, come si dice in Ticino, «paga ul Celest».
Lo scorso mese è stato pubblicato un libro dal titolo Kleinstaat Schweiz – Auslaufs – oder Erfolgsmodell? che si pone l’interrogativo se il modello svizzero sia in via di estinzione o per contro premessa di successo, concludendo per questa seconda alternativa. Dürrenmatt affermava addirittura che la Svizzera non è una nazione e neppure un piccolo Stato, ma una Confederazione di piccoli Stati cantonali. Auguriamoci che i 246 grandi elettori non lo dimentichino al momento della nomina del prossimo consigliere federale indulgendo in alchimie di potere e nell’esasperazione di mode, ma ricordando ciò che cementa la Svizzera, modello di successo.
Tito Tettamanti