Two Swiss American Artists
A Collection in Progress

Un progetto di Danna Olgiati

Fotografie scattate in occasione della conferenza stampa di giovedì 28 settembre

Lo Spazio -1 propone, per la mostra autunnale, un inconsueto accostamento tra due artisti di diverse generazioni: il pittore ticinese Livio Bernasconi (Muralto, 1932) e la scultrice statunitense Carol Bove (Ginevra, 1971). Inoltre, come ogni anno, lo Spazio -1 presenta un nuovo allestimento della Collezione Olgiati con l’obiettivo di mettere in relazione fra loro opere dell’avanguardia storica e di quella contemporanea acquisite in momenti diversi.

Livio Bernasconi e Carol Bove devono la loro identità artistica agli scambi e alle contaminazioni tra la cultura svizzera e quella americana. La scultrice statunitense Carole Bove quest’anno rappresenta la Svizzera alla Biennale di Venezia. Livio Bernasconi, formatosi in Ticino e in Italia, ha risieduto negli Stati Uniti a metà degli anni Sessanta, un soggiorno che ha prodotto un rigoroso e prolifico confronto tra la sua formazione europea, nell’ambito dell’informale, il Pop americano e l’espressionismo astratto. La dimensione pittorica di Bernasconi e l’universo plastico di Bove – pur nella differenza dei mezzi adottati e dell’attitudine intellettuale – sono caratterizzati dal linguaggio dell’astrazione arricchito da una grande vivacità cromatica.

Le opere
Il progetto per lo Spazio -1 prevede 15 dipinti di Livio Bernasconi datati a partire dagli anni ‘80: sono tutti caratterizzati dalla divisione della superficie pittorica in due diverse aree cromatiche, una contrapposizione dei piani animata da un movimento interno di forte dinamicità. Ampie campiture monocrome, tagliate al vivo, controbilanciate da ritagli cromatici periferici creano una tensione interna al quadro e attivano una relazione tra i diversi dipinti esposti sulle tre pareti perimetrali dello spazio ingaggiando così un sorprendente dialogo con la scultura della Bove collocata al centro della sala.
La scultura di Carol Bove in mostra è composta di quattro elementi in acciaio dipinto, denominati dall’artista “glifi schiacciati” (crushed glyphs), ovvero elementi grafici deformati e collocati su una base molto ampia e di altezza ridotta.

I quattro elementi simili che compongono la scultura creano, nella loro interazione reciproca, una variazione sul tema. La loro forte presenza visiva è inoltre contraddetta dal titolo Self Talk (“Dialogo interiore”), che propone all’osservatore di entrare in contatto con l’opera attraverso una riflessione personale, abbandonando schemi visivi e mentali precostituiti.

Come il glifo si riferisce generalmente ad un simbolo che acquista senso in un contesto specifico, ad esempio una lettera all’interno dell’alfabeto, così le sculture della Bove appaiono come frammenti unitari di una sillabazione complessa: la ricerca dell’artista statunitense, infatti, è sempre focalizzata sull’idea di scultura e sulla condizione di esistenza e realizzazione dell’opera nella dimensione plastica.

La presentazione delle opere di Livio Bernasconi si inserisce con grande coerenza negli spazi della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati proprio per gli evidenti punti di tangenza fra i suoi dipinti e le opere presenti in una collezione privata improntata, in una delle sue linee guida, al versante astrattista della storia dell’arte del XX e XXI secolo. A rafforzare ulteriormente il senso della presentazione di Bernasconi nello Spazio -1 è il confronto con un’opera importante dell’artista americana, Carol Bove, entrata recentemente a far parte della Collezione Olgiati .

Nata a Ginevra nel 1971, Carol Bove vive e lavora a New York. La sua produzione artistica comprende sculture, dipinti, incisioni e istallazioni. A distinguere il suo lavoro è l’accostamento fra oggetti trovati – industriali o naturali – e altri da lei stessa realizzati in arrangiamenti e assemblaggi poetici complessi, che hanno saputo catturare l’attenzione della critica e dei musei. Infatti, nonostante la giovane età, Carol Bove è presente nelle collezioni di numerose istituzioni americane e europee ed ha avuto mostre personali al MOMA di New York, al Palais de Tokyo di Parigi, alla Kunsthalle di Zurigo e in molte altre sedi museali prestigiose. La presenza quest’anno nel Padiglione svizzero della Biennale di Venezia, per un omaggio a Alberto Giacometti con un notevole corpus di sculture, ha ulteriormente diffuso la notorietà all’artista a livello internazionale. In anni recenti le sue creazioni plastiche, realizzate in metallo – acciaio a volte arrugginito e contorto, dai contorni slabbrati, altre volte dipinto e modellato in forme perfettamente definite – hanno assunto dimensioni sempre più imponenti, quasi a volersi confrontare con i grandi protagonisti della scultura contemporanea quali Anthony Caro o Tony Smith. A contraddistinguere però l’opera della Bove è la straordinaria libertà stilistica e la volontà, come ha dichiarato la stessa artista, di voler creare un contesto per le sue sculture, come se ad importare, più della singola opera, fosse l’insieme delle forme e il rapporto che queste stabiliscono tra loro nel suo studio o in una mostra. Infatti, l’artista è molto attenta alla disposizione delle opere nello spazio e all’immagine complessiva che queste producono. La cura meticolosa nell’accostamento fra le opere conduce a uno slittamento dalla tridimensionalità propria alla scultura verso un’immagine formata da una serie di “segni” nello spazio, organizzati in relazioni significanti.

Self Talk è in questo senso emblematica: la scultura si compone di quattro elementi in acciaio, verniciati di colore marrone, giallo, rosso e verde, collocati su una base bianca di altezza ridotta. Percettivamente i quattro elementi si presentano allo sguardo come se fossero realizzati con un materiale flessibile; il peso considerevole del metallo e l’enorme forza necessaria per piegare l’acciaio sono celati dalla colorazione regolare della superficie. Ogni elemento potrebbe essere letto quale scultura in sé risolta, ma vengono definiti dall’autrice stessa “quattro glifi schiacciati” (crushed glyphs), indicando così la vera natura dell’opera. Infatti, il termine glifo si riferisce usualmente a un simbolo che acquista il suo significato in un contesto dato; nella scultura di Carol Bove i glifi costituiscono i segni di un sistema linguistico complesso che si attua nella relazione fra i quattro elementi, nella loro precisa collocazione sulla base.

Il titolo dell’opera Self Talk (“Dialogo interiore”) sembra alludere al linguaggio intimo, prevalentemente inconscio, normalmente utilizzato per dare significato alla realtà che ci circonda. L’artista indica così una possibilità di lettura dell’opera che trascende ogni narrazione per ricondurre il significato all’interno degli elementi propri alla scultura: materia, spazio, forma, colore. Il distacco da ogni inserimento delle sue sculture all’interno di uno sviluppo storico lineare, trova conferma nelle parole di Carol Bove “I don’t really believe in the stable self” (“non credo davvero nell’io stabile”): l’artista scardina così la questione dello stile in una prospettiva autenticamente contemporanea e libera.