“Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana” è un romanzo di Carlo Emilio Gadda, studiato, con giudizio, anche a scuola, come si conviene ai testi che hanno fatto la letteratura italiana. Si tratta di un testo complesso, ordito in un linguaggio gaddiano impagabile ma ostico per chi è alle prime armi letterarie. Non per questo il romanzo perde di valore, anzi, ne acquista essendo in definitiva una ricerca espressiva peculiare e nuova.

Commentando il “pasticcio” della votazione sulla nuova materia, la Civica, che sarà insegnata al di fuori delle lezioni di storia nelle scuole ticinesi a seguito del referendum promosso da Alberto Siccardi e cofirmatari e confermato alle urne dai cittadini, non ci si può esimere dal fare un paragone col ben più famoso “pasticcio” di Gadda.

Ma perché, innanzitutto, chiamare “pasticcio” una votazione legittima che, promossa da un’importante parte della nostra società, è sfociata in una sacrosanta attuazione del principio dell’obbligatorietà dell’insegnamento del funzionamento, del regolamento e della struttura delle nostre istituzioni civiche? Perbacco, si tratta della base di ogni insegnamento, a partire dalle libere riunioni dell’agorà ateniese e fino ad oggi!

E invece, proprio di pasticcio si tratta.
1) Perché l’insegnamento della Civica era già in atto nelle scuole durante le lezioni di storia.
2) Perché la Civica, “presa” da sola, rischia di trasformarsi in un vuoto elenco di regolamenti, numeri e leggi.
3) Perché, come ho d’altronde detto allo stesso Siccardi durante un dibattito “prevotazione” in quel di Bellinzona, la vera questione di cui è necessario parlare, dal punto di vista storico e civile, in Svizzera è il CONTESTO da cui sono nate e cresciute le nostre istituzioni.

Ecco: il contesto. A qualcuno interessa il perché della democrazia diretta svizzera e il come della sua messa in atto a livello federale? In Ticino, a livello popolare, non mi sembra che ci si stracci le vesti in questo ambito, date le numerosissime accuse di “balivismo” rivolte agli organi centrali svizzeri (fra i meno prepotenti di ogni tempo), mentre è proprio ciò che l’EVOLUZIONE del nostro sistema civico ha saputo evitare.

Dunque: civica&storia, per conoscere il veramente ed efficacemente ciò che ha portato al qui e ora in Svizzera. Non è detto, naturalmente, che nel confezionare le nuove lezioni di Civica non si insisterà proprio su questo punto. E allora la cosiddetta “sconfitta” dei contrari alla Civica sarebbe molto meno amara. Confido che i docenti chiamati a insegnare la materia, che un po’ superficialmente vengono piazzati nelle file degli sconfitti, sapranno fornire l’adeguata storicizzazione dei modi e costumi svizzeri, che ci hanno portato ad essere quello che siamo oggi e senza di cui nessuna Civica ma anche nessuna politica “alla svizzera” sarebbe possibile. Detto questo e con l’augurio che nel tempo l’insegnamento della Civica possa, appunto, tramutarsi in una vittoria per tutti, corpo docente, allievi e società estesa che ne usufruisce, è necessario riflettere sulle presumibili vere intenzioni di alcuni promotori dell’insegnamento della Civica a scuola.

“Un maledetto imbroglio” di Pietro Germi

Gli esempi di questi “veri motivi” ce li fornisce lo stesso Alberto Siccardi: in una dichiarazione ha ribadito che la Civica, debitamente insegnata, permetterà di non dimenticare le tradizioni svizzere e di non mutare le basi della nostra società civile. Ohibò: e chi se lo sarebbe aspettato che l’insegnamento della Civica fosse un anello della collana adoperata dai conservatori per rendere immobile la nostra società?! Ricordando che per gli antichi Greci il termine “male” significava “ostacolo al movimento”, vorremmo far presente a Siccardi che una società immobile e ancorata allo status quo deperisce piuttosto in fretta, a volte arriva anche a degenerare.

Il vero “modo” svizzero, invece, è stato nei secoli quello del cambiamento con giudizio dei punti fermi sia economici sia prettamente umani, e per umani intendo l’incredibile cambiamento degli elvezi che, se nel passato furono guerrieri e mercenari, oggi sono gli ospitanti della maggiore organizzazione umanitaria al mondo. Anche economicamente, gli svizzeri hanno saputo reagire con acume all’evoluzione dei fatti e delle strategie aprendosi al mondo, al pari dell’Inghilterra, nell’800 in quello che dovrebbe essere definito il “periodo glorioso” della storia patria, a differenza di alcune leggende medievali che ne sono più che altro il contorno mitico.

Proprio in questi giorni un’amica mi ha ricordato che durante la sua giovinezza era insegnata a scuola l’”economia nazionale”, che spiegava il perché e percome (nei secoli) dei pascoli, delle mucche, e poi delle macine e delle manifatture, e poi ancora del procedere della concentrazione (dove, quando, perché) delle industrie in modo da avere un quadro chiaro dell’evoluzione economica del paese. Questo tipo di insegnamento, oggi, sarebbe ancora utile, ma allargando le (numerosissime) connessioni svizzere al mondo che ci circonda.

Ma il vero e proprio pasticcio si è creato poco prima della votazione quando, e non è la prima volta, sono piovute malriposte critiche sul corpo docente ticinese, additato per l’ennesima volta (negli ultimi decenni) come se fosse un organo più o meno parassitario all’interno di una società sana. A questo proposito, vorrei invitare i critici e i politici a recarsi in una qualsiasi scuola ticinese per vedere la mole di lavoro che viene svolta quotidianamente, mensilmente, annualmente; per rendersi conto della qualità dell’insegnamento; per plaudire alle basi di quest’ultimo, basi che sono profondamente radicate in un democratico spirito critico.

Ma insomma, se in Ticino e in Svizzera ci sono meno violenza, meno “banlieues”, meno conflitti sociali e interetnici, meno rifiuto dell’altro (nonostante certa politica) lo dobbiamo ANCHE a un insegnamento scolastico di qualità che difende i valori della pluralità, della comprensione e della democrazia. Questi valori, oltre a quelli dell’apprendimento dei fatti, del sapere scientifico e pure del sostrato storico-civico, vengono MASSICCIAMENTE insegnati ogni giorno nelle nostre scuole. I critici dovrebbero ricordarsene, ogni tanto.

Il pasticcio ha avuto i suoi protagonisti anche nel campo degli insegnanti, purtroppo. Non è ammissibile, naturalmente, paragonare il democratico sistema svizzero a un passato dittatoriale come quello hitleriano. E a questo proposito, una contestualizzazione di cosa furono davvero alcuni tentativi (in parte purtroppo riusciti) di genocidio e il prevalere delle rivendicazioni della morte su quelle della vita, dovrà essere riproposta con fermezza e continuità proprio a scuola.

Sergio Roic