Ogni tanto, per fortuna, le buone notizie arrivano. Questo articolo (con, in verità, parecchi altri) ci dice che l’Avvocato ha deciso di impegnarsi di persona nella battaglia! Sarà – di qui a marzo – un’epica lotta, alla quale noi, nel nostro piccolo, cercheremo di partecipare. Già abbiamo il canone a 365, un solo franco per ogni singolo giorno dell’anno. All’improvviso siamo più ricchi di 86 franchi. Che fare con questa pingue sommetta? Bisogna pensarci. Una cena per due non ci sta.

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Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata

Si dice che Reagan abilmente lasciasse uscire dalla sua amministrazione indiscrezioni su fatti minori per tenere occupati i media e distrarli da problemi maggiori e più imbarazzanti. È l’atteggiamento al quale assistiamo nell’ambito del dibattito sull’iniziativa «No Billag».

Cominciamo con l’argomento «servizio pubblico o no», assolutamente specioso parlando della Svizzera italiana. Un bacino di utenti di 350.000 persone neonati inclusi non è un mercato che possa permettere ad una televisione privata (parliamo di televisione e non di radio) di sopravvivere. TeleTicino, che fa un egregio lavoro con pochi mezzi, chiuderebbe in rosso senza qualche milione che riceve da Berna. Da noi il problema non è «sì o no Comano», ma «quale servizio pubblico e gestito come». Un servizio pubblico affidato ad una corporazione autoreferente, un monopolio o un vero servizio pubblico nel quale trovino spazio le diverse componenti del Paese ed inoltre gestito con rigorosi criteri economici, anche tenendo conto che siamo in periodo di vacche magre e quindi maggiore è la suscettibilità dell’utente?

Esempio pratico: se la persona alla testa del Dipartimento cultura alla televisione non soddisfa – come si sente dire – la soluzione non consiste nel raggruppare due dipartimenti per retrocedere praticamente la persona a vicecapo, quindi demotivarla e metterla in situazione di non far più niente continuando a ricevere lo stipendio. Non solo, ma i suoi numerosi vice dovranno sempre rapportarsi con la stessa persona ed avranno un gradino in più da salire per interagire con il nuovo vero capo. Questo non è servizio pubblico, questa è cattiva gestione.

Per quanto riguarda non diciamo l’oggettività che non esiste, ma l’equilibrio, cito un esempio recente. A commentare il rigetto popolare dell’iniziativa Berset «AVSplus: per un’AVS forte» sono state chiamate alla TV della Svizzera tedesca quattro personalità di sinistra che erano a favore dell’iniziativa respinta dal popolo ed una sola che si era battuta con successo contro l’iniziativa, il consigliere agli Stati appenzellese PLR Andrea Caroni. Non solo, durante il dibattito al consigliere agli Stati socialista Paul Rechsteiner, presidente dell’Unione sindacale svizzera, è stato concesso il doppio del tempo riservato a Caroni. Il grave è che questo è considerato equilibrio alla SSR.

Sarebbe opportuno anche evitare iperboli e fantasie per sostenere il servizio pubblico. Una di queste è l’affermazione che la SSR è indispensabile alla coesione nazionale e comprensione tra le aree linguistiche. A parte che la Svizzera è nata prima della SSR ed è sopravvissuta abbastanza bene, l’affermazione è ridicola se rapportata ai fatti. Se prendiamo «10 vor 10», forse la più importante trasmissione con commento di notizie della Svizzera tedesca, viene vista da circa 5.600 romandi (1%) e 2.500 ticinesi (presumibilmente svizzeri tedeschi residenti in Ticino) pari al 2,2%. Il «Quotidiano» della RSI ai tempi dell’inchiesta aveva una quota d’ascolto dello 0% nella Svizzera tedesca e dello 0,1% in Romandia.

Da discutere seriamente è anche la bulimia della SSR e da più parti ci si chiede se sia indispensabile al servizio pubblico avere 17 stazioni radio, 7 canali televisivi, Internet, dispositivi mobili e il Teletext. Queste sono espressioni da monopolista e non da servizio pubblico che dovrebbe concentrarsi su informazione, cultura, costumi, educazione e sapere.

La cura dimagrante sollecitata da più parti sarebbe utile, anche al fine di ridurre una elevata tassa concepita in modo stalinistico e quindi imposta anche a chi non ha e non vuol vedere la televisione. Tale tassa, grazie alla paura che l’iniziativa «No Billag» incute, è stata con abile manovra ridotta dal 2019 a 365 franchi. Ne siamo lieti e ringraziamo i «No Billag» senza i quali il Consiglio federale si sarebbe ben guardato dal ridurre il balzello. Due commenti sono però doverosi: il primo è che aveva ragione chi allora diceva che era possibile spendere meno. Il secondo è che il problema non è solo il costo se il menù anche a prezzo inferiore rimane quello non gradito.

Il Parlamento aveva l’occasione, trattando il tema durante l’ultima sessione, di analizzare seriamente il disagio e trovare ragionevoli compromessi, ma succube dei voleri di Leuthard – intelligente quanto pericolosa donna di potere – e influenzato dallo zelo ideologico di de Weck non ha saputo (voluto) individuare una soluzione che avrebbe permesso il ritiro dell’iniziativa «No Billag». Non penso sia stato un atteggiamento lungimirante e le difese corporativiste tipo «no pasarán» con qualche cerotto e con task force che costano milioni alla SSR (quindi a noi tassati) corrispondono poco al costume svizzero, che la SSR sarebbe chiamata a difendere.

Di «No Billag» parleremo a tempo debito ma attenti ai pericoli degli atteggiamenti di pura arrogante difesa corporativistica. Il tutto a me e niente a te può legittimare pericolose reazioni.
Tito Tettamanti