“Tanto è bastato per scatenare la ciurma indignata e razzista in servizio permanente sui social. Omuncoli e donnuncole, decisamente più piccini del manganello lessicale con cui agitano l’aria, che hanno cominciato a triturare i santissimi con la solita retorica copia&incolla, buona per commentare tutto lo scibile umano: e i ticinesi disoccupati, sfruttati, umiliati? Sempre a reggere la coda agli asilanti! E quelli che si suicidano? E la Boldrini? Sono gli effetti del piano Kalergi, colui che sostenne l’esistenza di un ipotetico progetto per incentivare l’immigrazione africana e asiatica in Europa! Dovreste scrivere del povero poliziotto, non di quel morto che se l’è cercata! Vergogna, vergogna, tremenda vergogna, giornalisti, anzi giornalai da strapazzo!”

Questo frammento, limitato ma caratteristico, fa riferimento all’articolo altamente emotivo che il Caffè della scorsa domenica ha dedicato al migrante armato di coltelli ucciso da un agente di polizia a Brissago. Lo stile del giornalista è violento e, soprattutto, inconfondibile. Egli massacra senza pietà quella “feccia immonda” (termine che non usa) che alcuni chiamano “leoni da tastiera” e che popola il web, affidando il suo sdegno e il suo rancore a un linguaggio a nostro avviso non più nobile di quello che egli stesso crocifigge.

Un grande giornalista è forse un fiume in piena che, senza controllo, rompe gli argini? Sia lecito dubitarne.

L’autore non ha neppure l’accortezza e la lucidità di domandarsi quale sia lo scopo dell’articolo (abile, astuto) del Caffè. Anche un minus habens lo vedrebbe. Ma sì… l’inversione dei ruoli!