Riina porta con sé parte della verità sulla trattativa tra Stato italiano e mafia (titolo originale)
Pubblicato il 17 novembre 2017 in Europa/Internazionale di Davide Rossi

Ci fu realmente questa trattativa? Da anni e anni se ne discute accanitamente. In questo giorno altamente simbolico Davide Rossi ci fornisce la sua opinione. Che è Sì.

Lo svolgimento, alla fine degli anni ’80 del Maxiprocesso di Palermo voluto dal procuratore Antonino Caponnetto e portato avanti dal Pool formato da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e dal giovane e notoriamente comunista Giuseppe Di Lello, scatena la mafia. La riuscita di quella prima e significativa lotta dello stato italiano contro la criminalità siciliana con oltre 250 imputati e oltre 2600 anni di reclusione comminati, convince Totò Riina, a capo dei mafiosi corleonesi e dell’intero sistema criminale siciliano dai primi anni ’80, a passare all’attacco, non essendo riuscita l’operazione di intermediazione politica con la corrente che faceva capo a Giulio Andreotti per bloccare le sentenze. La mafia già aveva dato indicazione di voto a Palermo, oltre che per i democristiani a lei più prossimi, tra cui Salvo Lima, per i socialisti di Craxi, con preferenze a Martelli e a Pannella, nelle politiche del 1987, provando a mandare ad Andreotti un messaggio di disagio rispetto al Maxiprocesso e al sindaco antimafia di Palermo Leoluca Orlando, che proprio in contrasto con il suo partito e in sostegno ai magistrati lascerà la Democrazia Cristiana. Il 1992 è il primo anno del sangue, delle morti e delle stragi, seguirà il 1993. Il primo a cadere è l’uomo di Andreotti in Sicilia, Salvo Lima, poi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il 23 maggio ’92 e il 19 luglio ‘92, due date che in tutta Italia ancora oggi sono commemorate.

Claudio Martelli, ministro della giustizia di un governo Andreotti, cerca di smarcarsi da una situazione difficile e dopo la morte di Falcone promuove la legge per il carcere duro contro i mafiosi detta “41-bis”.

I GIUDICI FALCONE E BORSELLINO
In quei giorni che precedono la morte di Borsellino inizia quella che a tutti gli effetti è stata una trattativa tra Stato italiano e mafia e che ha visto come protagonisti il capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno, per conto del colonnello Mario Mori (all’epoca vicecomandante del ROS – Raggruppamento Operativo Speciale), entrato in contatto con l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Riina è stato certamente raggiunto dalla proposta attraverso il medico Antonino Cinà. Mori all’epoca seguiva anche un altro contatto con la mafia, perseguito dal maresciallo dei carabinieri Roberto Tempesta in contatto con Antonino Gioè, capo della famiglia di Altofonte, attraverso Paolo Bellini, ex terrorista fascista e confidente del servizi segreti italiani. La trattativa riguardava la disponibilità dello Stato a recepire alcune richieste della mafia in cambio della fine delle stragi. Il magistrato Antonino Di Matteo attraverso le indagini ha concluso che la morte di Borsellino è stata realizzata per “proteggere la trattativa dal pericolo che il dott. Borsellino, venutone a conoscenza, ne rivelasse e denunciasse pubblicamente l’esistenza, in tal modo pregiudicandone irreversibilmente l’esito auspicato”. I familiari di Borsellino da anni chiedono di sapere chi, dopo l’attentato, ho sottratto la borsa e l’agenda rossa del giudice.

Il 15 gennaio 1993, a Palermo, Totò Riina, capo di Cosa Nostra, viene arrestato dai carabinieri del colonnello Mori e del generale Delfino. I mafiosi facenti capo a Bagarella, Brusca e ai fratelli Graviano pretendono nuove stragi e il nuovo capo Bernardo Provenzano, contrastando la parte della mafia siciliana che intende procedere con la trattativa, propone che le stragi vengano realizzate, ma non in Sicilia, ciò avviene il 27 maggio 1993 a Firenze in via dei Georgofili, cinque vittime e una quarantina di feriti e la notte tra il 27 e il 28 luglio in via Palestro a Milano, cinque morti e tredici feriti, nonché la stessa notte a Roma, davanti alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro, senza vittime. Non sì è a conoscenza di quali sviluppi abbia avuto in quei mesi la trattativa tra Stato e mafia e quale ruolo abbia giocato Marcello Dell’Utri, tra i fondatori dell’allora nascente partito berlusconiano Forza Italia, tuttavia il 2 novembre 1993 il ministro di Giustizia Giovanni Conso non rinnova 334 provvedimenti “41 bis” in scadenza, dichiarando che ciò aiuterà a “fermare le stragi”, di qualche mese successivo è l’arresto dei Graviano, che larga parte hanno avuto nell’organizzare le stragi di quel biennio.

Con la sua morte nel carcere di Parma il 17 novembre 2017 Totò Riina, nato 87 anni prima a Corleone, porta con sé il silenzio su molti fatti e molte informazioni in merito a quella trattativa tra Stato italiano e mafia, una delle pagine più oscure della storia della Repubblica Italiana.

prof. Davide Rossi