E’ “tragedia nazionale” in Australia da ieri, quando sono stati pubblicati i risultati della grande inchiesta sulla pedofilia della Royal Commission. L’inchiesta durata quasi 5 anni era presidiata da una commissione istituita nel 2012 e composta da 6 persone che nel corso di questi anni hanno raccolto in tutto il paese i 15mila deposizioni e 8mila audizioni a porte chiuse delle vittime che hanno subito abusi e molestie da bambini in orfanotrofi, scuole, circoli sportivi e giovanili, dagli anni ’50 al 2010. Nel report si legge che l’Australia “è venuta meno in modo grave ai suoi doveri” nell’ambito della protezione die bambini di cui “decine di migliaia sono stati vittime di violenza sessuale in molte istituzioni australiane e non ne sapremo mai il numero esatto”.

Il meticoloso lavoro della Commissione ha identificato ben 4mila istituzioni che si sono macchiate di crimini sessuali sui minori. Istituzioni che hanno “fallito in modo grave nei loro doveri e in molti casi queste carenze sono state aggravate da una risposta chiaramente inadeguata per le vittime”.

Più del 60% dei casi di pedofilia sono avvenuti in istituzioni religiose della Chiesa cattolica e questo non fa che riportare l’attenzione su una realtà già tristemente nota. Solo un anno fa una bufera si era scatenata sul cardinale australiano George Pell, il prefetto della Segreteria vaticana per l’Economia accusato aver messo in atto e insabbiato diversi abusi sessuali sui minori.

E proprio ai preti è rivolta una delle 409 raccomandazioni contenute nel rapporto conclusivo indirizzato ai governi, raccomandazione che suggerisce di rivedere alcune delle regole fondamentali e immutabili da tempi immemori della Chiesa cattolica: il voto di castità per i sacerdoti e il segreto confessionale. Il primo è considerato uno dei fattori all’origine di alcuni “cattivi impulsi” mentre il secondo permette di mantenere la segretezza sugli atti di pedofilia ammessi nel confessionale. L’idea dunque sarebbe quella di obbligare i preti, come medici e poliziotti, a denunciare eventuali molestie di cui sono venuti a conoscenza tramite una confessione.

Le misure sono considerate “inaccettabili” dai vescovi australiani. L’arcivescovo di Melbourne ha dichiarato che non riesce a immaginare “che la natura sacrosanta della confessione possa mai cambiare”. Ha poi aggiunto: “Rispetto la legge di un Paese, ma è un impegno sacro, spirituale, davanti a Dio che devo onorare e devo rispettare”.

Il capo dell’episcopato australiano ha dichiarato che i risultati dell’inchiesta sono stati presi molto seriamente dalla Chiesa e ha ribadito “le scuse incondizionate per questa sofferenza e per questo vergognoso passato, in cui una prevalente cultura della segretezza e dell’autoprotezione ha portato a sofferenze inutili per molte vittime e per le loro famiglie”.