Il Manifesto di Ventotene condanna la Sovranità Nazionale. È la Costituzione dell’Europa stessa a non permettere opinioni divergenti

L’euroscetticismo è totalmente incompatibile con l’UE, né vi è alcuna via di mediazione. Esso cade inevitabilmente nel tabù dell’imperialismo, dell’autarchia, della sovranità, tutte questioni osteggiate dall’Unione Europea, già nella sua primordiale costituzione stessa: il Manifesto di Ventotene. Vincere, per gli euroscettici, sarà molto dura: l’Europa è solidamente costituita su tutto il contrario dei loro ideali, dei loro obiettivi. Mentre il tassello che si va ad aggiungere al piano dell’unione europea potrebbe essere il piano Kalergi.

«…un largo Stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari (…)»– Manifesto di Ventotene – I compiti del dopoguerra, l’unità europea.

Nazionalismo e Indipendentismo possono coesistere? Lo chiesi intervistando il leader del Vlaam Belangs Jongeren, movimento indipendentista e euroscettico fiammingo, il quale mi rispose che sì, sono due realtà che egualmente si sforzano di preservare la loro identità e la loro sovranità. Tabù, tutto ciò, per la costituzione dell’Europa stessa.
Il Manifesto di Ventotene – Per un’Europa Libera e Unita redatto da Altiero Spinelli e da Ernesto Rossi, è esattamente l’opposto degli ideali indipendentisti, individualisti e sovranisti. Il sottotitolo ricorda l’idea mazziniana di Repubblica Italiana, (ma – non è superfluo ricordarlo – Mazzini si riferiva alla – pur da alcuni contestata – idea di nazione Italia, non all’Europa) e già da qui palesa un’intenzione unitaria, che si rivela poi quella di fondere gli stati unitari nazionali in un unico stato denazionalizzato, europeo. Questa denazionalizzazione di fatto è però nomata internazionalizzazione, così da velare la perdita – di fatto – della sovranità nazionale con un termine dal sapore cosmopolita e globalizzante.

Il primo capitolo la crisi della società moderna recita:

«si è affermato l’eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in Stati indipendenti. […] esso portava però in sé i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto ingigantire fino alla formazione degli Stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali.»

Per un – immenso – errore storico il nazionalismo avrebbe quindi fallito. Divenendo terreno insondabile. Da dimenticare. Cultura, passione, orgoglio nazionale compresi?

Nel secondo capitolo I compiti del dopo guerra, l’unità europea prosegue:

«i ceti che più erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l’ondata dei sentimenti e delle passioni internazionalistiche, e si daranno ostinatamente a ricostruire i vecchi sistemi statali».

Fermiamoci un secondo. Fortunatamente la denazionalizzazione non è ancora avvenuta nella sua totalità, e si può ancora parlare di un proprio stato nazione, pur soggiogato e legato, previa trattati irremovibili, all’Europa. Attuando una trasposizione del discorso del Manifesto al presente, attualmente i ceti un tempo privilegiati dalla sovranità monetaria e oggi indeboliti dalle normative comuni e dalla moneta unica, sono i ceti medio bassi, la borghesia impoverita, degli artigiani e dei piccoli imprenditori. Da aggiungere disoccupati ed esodati, che in quest’Unione Europea non vedono un aiuto. E sono costoro, in genere, a propendere per l’euroscetticismo (per esempio gli elettori italiani che diedero cinque seggi alla Lega Nord e i francesi che ne diedero venticinque al Front National alle europee del 2014). Costoro, impoveriti, sono esplicitamente visti dal Manifesto come attentatori all’omologante stabilità europea. E il Manifesto continua:

«Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati. Si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere generale delle classi più povere. […] abbiamo visto come essi si siano insinuati dentro i movimenti popolari, […] senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovrà fare i conti. Il punto sul quale essi cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale.»

Restaurare la sovranità nazionale. Il Manifesto di Ventotene condanna proprio ciò che si propongono di fare intellettuali e lavoratori dissidenti dall’europeismo.

Un ostracismo programmato contro “coloro che avrebbero dissentito”, ovvero gli attuali antieuropeisti. Poiché gli euroscettici, per la sola colpa d’essere agnostici al cospetto della divinità banchiera europea, si camufferanno da ‘amanti della pace.’ Eppure, chi bombardò Belgrado? Chi propose l’entrata della Turchia, un paese colpevole di tradimenti, colpi di stato, genocidi e epurazioni politiche nell’Unione Europea? Chi recentemente non ha alzato un dito in favore dei catalani, che vedendo i propri diritti civili calpestati si appellavano proprio all’UE? Gli europeisti. E tutto ciò in nome del mantenimento pace.
Siamo dunque proprio sicuri che siano gli euroscettici a camuffarsi da ‘amanti della pace’ e a minare la stabilità europea? Io ci andrei piano.

Inoltre, la sovracitata questione dell’autarchia, aborrita dal Manifesto di Ventotene, fu compresa soltanto – ma benissimo – dal popolo della Norvegia, quando nel ’72 respinse la proposta referendaria di entrare a far parte dell’Unione, poiché vedeva minati i propri interessi della pesca nei propri mari, a cui si aggiungeva le recentissime scoperte petrolifere nel mare del Nord. La Norvegia salvaguardò i propri interessi, ma non fu tacciata di pericoloso imperialismo né mire nazionalistiche. Perché? Evidentemente perché non aveva avuto un passato compromettente come quello dell’Italia ex fascista. Peccato che la Germania, nonostante il proprio passato nazista, unita alla sorella orientale dagli anni ’90 grazie alla lungimiranza del cancelliere Khol, non rischi di cadere nell’eguale tabù nazionalistico dei propri interessi, pur dominando, anche ad oggi, la stabilità europea. Evidentemente gli interessi bancari ben celano i sogni autarchici. Ma l’autarchia, evidentemente, è un privilegio concesso a pochi.

Del resto, il Manifesto di Ventotene, ricalca in qualche modo il Manifesto di Marx, condannando non solo gli autarchici interessi protezionistici che, normalmente, uno stato nazione perseguirebbe, ma anche la proprietà privata. Nel terzo e conclusivo capitolo, I compiti del dopo guerra. La riforma della società, il manifesto recita:

«la proprietà privata dev’essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio.»

Un no agli interessi del legittimo proprietario, in favore degli interessi dei molti. Anzi, dei pochi che governano.
Contro l’accomunarsi degli stati nella Comunità europea si pongono sostanzialmente nazionalismo, protezionismo, liberismo e indipendentismo. Il nazionalismo unitario sovente schiaccia l’indipendentismo: è il caso della Spagna, nei confronti della Catalogna. Nemico dell’indipendentismo è tuttavia anche il liberismo, come palesò la realtà anglosassone negli anni ’80 mostrando come liberismo inglese e indipendentismo irlandese fossero due realtà inconciliabili. La diffidenza dei confronti dell’Unione fu concessa a pochi: come per la Norvegia protezionista, entrò nel novero dei privilegiati pensanti e dissidenti, anche l’Inghilterra liberista della Thatcher. Ma il liberismo inglese non coincise con la libertà degli altri popoli, quello irlandese in primis: certuni, tra gli antieuropeisti, citano il primo ministro inglese per la legittima lungimiranza che ebbe nei confronti della poco amata Comunità Europea, ma, al contempo, inneggiano al sogno di libertà del patriota dell’IRA Bobby Sands. A costoro sarebbe opportuno ricordare che la Thatcher affermò riguardo a Bobby Sands incarcerato: «Crime is crime, it is not political.»

Ritorniamo alla questione degli indipendentismi e chiudiamo la ring komposition delle guerra europea al dissenso: L’Unione Europea, all’epoca chiamata Comunità Europea, sarebbe, secondo gli autori del Manifesto, unica soluzione ai problemi di secessione. Il Manifesto continua, infatti:

«insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei confini a popolazione mista, […] questione balcanica, questione irlandese, ecc.,” – ad oggi dobbiamo aggiungere la questione catalana – “che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione, come l’hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali, quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti fra le diverse provincie.»

La suddetta affermazione è una stilettata agli indipendentismi, riconoscendo nelle realtà aspiranti all’autonomia un passato di “staterelli”, senza contare quanta scontentezza materiale comportò effettivamente l’unità nazionale, privando le realtà autonome della propria identità. Ma di identità, l’abbiamo detto prima, non si può parlare, altrimenti si ricade nel nazionalismo.

Ed ecco che gli indipendentismi e i nazionalismi arrivano a coesistere, in quanto realtà che non si vogliono piegare all’omologazione. Ma proprio per questo, con il loro euroscetticismo avranno una vita breve o lunga e dolorosa: per l’opinione comune ricadono infatti, per affermazioni insite nel Manifesto di Ventotene stesso, negli imperialismi e – affermazione astorica e ormai decontestualizzata ma, dai più, accettata – nei “fascismi” d’oggigiorno. Per essere accettati dalla Comunità occorre abbandonare l’idea di nazione (unitaria o divisa che sia, nel bene e nel male, a seconda della più che legittima opinione personale) ma così facendo si ricade nell’appiattimento più totale.
Spinelli e Rossi non videro l’attuarsi del loro manifesto, noi, al contrario, lo stiamo vivendo: peggio, esso è stato accolto come un diktat dalla classe dirigente europea.

Tre furono i progetti per un’Europa unita, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale: confederalisti, federalisti e funzionalisti. Quest’ultima fu la linea vincente, riprendente i temi della linea federalista allungandone tuttavia i tempi, consistente quindi in un’unione graduale, puntante, nel suo culmine, alla rinuncia di poteri da parte degli stati nazionali, in favore di istituzioni comuni. Attuatesi, queste due parti sono in attesa della loro terza componente, quella confederata, teorizzata dal cosmopolita Richard Coudenhove Kalergi, teorico della Pan  Europa , in pratica un’unione “dal Portogallo alla Polonia”, sotto l’egemonia di Francia e Inghilterra. Essendo l’Inghilterra reduce dalla Brexit, il paese che la potrebbe sostituire è, ovviamente, la Germania. Infatti già De Gaulle, diffidente nei confronti dell’Unione ma speranzoso nei confronti dell’Europa, aveva puntato, nel 1963 all’asse franco – tedesco per guidare l’Europa, avvicinandosi all’allor cancelliere della rinata Germania occidentale, Adenauer. Francia e Germania, ad oggi entrambi ancora governati da europeisti convinti, monsieur Macron e dame Merkel, entrambi volti ad attuare il piano Kalergi, con slogan europeisti e volti alla perdita progressiva delle sovranità e delle identità d’ogni stato. La dissoluzione, o meglio, l’omologazione europeista è molto vicina e, forse, già in atto.

La seconda guerra mondiale generò i parossismi dei nazionalismi, che portarono al massacro. La mal digerita unione europea potrebbe portare, come tutte le questioni imposte, astoriche e non naturali, al parossismo della globalizzazione, l’annullamento delle identità territoriali. Chissà che, allora, non sarà ancora vietato ribellarsi, senza ricadere nell’accusa di nazionalismo guerresco, ma, semplicemente, in nome della nostra storia, diversa, e per questo speciale, nelle sue mille sfumature, per ogni stato nazionale.

Chantal Fantuzzi