Immagne propaganfistica contro la No Billag

Adesso che grazie ai numerosi articoli pubblicati sappiamo tutto o quasi sui dati (i numeri) fondamentali per la serietà della discussione, il mio commento vuole richiamare le questioni per così dire di principio.

L’argomento è complicato perché si mescolano due temi indipendenti.
Da un canto vengono coinvolti i valori che stanno alla base del nostro Stato e che si possono sintetizzare nel “tutti per uno”: la solidarietà, quindi la sussidiarietà, il rispetto per le minoranze, tutto ciò che fa della Svizzera un unicum,che permette la convivenza pacifica di realtà tanto diverse (lingue, religioni, culture), che solo una volontà comune può rendere possibile, con quella componente emotiva che fa da collante quando poi il piccolo, orgoglioso della sua indipendenza, è confrontato con lo strapotere del grande (un aneddoto: ”les suisses payent cher“ mi son sentito dire in Francia mentre facevo la fila degli extracomunitari per entrare in un museo, da qualcuno dell’altra fila quella riservata a chi  nell’UE : “c’est le prix de l’indépendance” mi è uscito come risposta spontanea). Un tema di peso che tocca il nostra DNA.

L’altro tema, è quello che riguarda la libertà di espressione che coinvolge in prima persona ed assume un’importanza cruciale per il giornalista: quello della sua relazione con il potere, nel caso in questione quello con l’autorità politica (quindi non un editore qualsiasi) che è il suo datore di lavoro. Un tema delicato e non di poco conto, evidenziato nelle discussioni sulla votazione da chi è a favore della No Billag: se e in che misura il clientelismo (posto di lavoro che vuol dire voto e viceversa) e il nepotismo, nel XXI sec contano ancora più del merito e della capacità, (sarebbe interessante avere dei dati in proposito per capire quanto c’è di vero e quanto invece è un luogo comune).

“ …a me non atto agli intrighi, non ligio a fazioni, sarebbe poco acconcio un posto nel nostro Consiglio composto di uomini pel massimo numero dei quali sono cagion di riso o almeno di indifferenza quelle cose che a me sono potentissime di riverenza e amore …”(1826). Dovrebbe suonare come un monito: se quello che dovrebbe essere il fustigatore del potere diventa un servo, si allunga la fila di chi si disaffeziona alla politica, un brutto segno per la democrazia.

Bernardino Damonti