Volevo prendermi l’occasione di dire la mia in forma di intervista. E allora ho pensato a Sergio Roic, noto, rispettato e acuto intellettuale di sinistra (ultima sua opera il vasto e profondo romanzo “Wish you were here” che io stesso ho presentato su Ticinolive). Questo il risultato della nostra collaborazione.

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Sergio Roic  La votazione sull’abolizione della quota di pagamento obbligatoria “No Billag” è alle porte. È possibile immaginare, da svizzeri, una Svizzera diversa da quella che è ora, con un forte servizio informativo pubblico che favorisce le minoranze e la solidarietà interregionale e interculturale, per non parlare dello stimolo alle arti visuali svizzere?

Francesco De Maria  È giusto prestare attenzione alle minoranze e alle realtà, anche minute, del nostro territorio. Ma non è questa la funzione primaria (reale) della nostra TV di Stato! Essa è lì per condizionare il pubblico in favore del potere politico dominante. Lo fa in un modo talvolta pacchiano e talaltra sottile. Ma lo fa. Ed esattamente per questo motivo il potere politico concede alla TV di Stato inusuali privilegi, in primis una montagna di denaro, prelevata a forza di legge. Che non basta mai, ovviamente. Duecento cinquanta milioni sono una enormità ma uno può sempre dire: perché non trecento?

Questa situazione – ottima per alcuni, ma ingiusta e disastrosa agli occhi di altri – è in atto da parecchi decenni, in ogni caso dagli anni Settanta, quando in alcuni importanti paesi d’Europa la sinistra sembrava vincente, appoggiandosi a forze eversive e violente. Darei quasi ragione all’on. Chiesa, democentrista, il quale ha dichiarato amabilmente: “In fondo la RSI è migliorata”. Ma girerei la frase in: “A quei tempi era peggio…”

La Svizzera è disposta a rinunciare alla sua quasi unicità di Paese che può permettersi un simile servizio (e una simile solidarietà fra regioni e culture) per una questione meramente economica (ciò di cui si discute è più che altro l’entità dell’obolo da versare e non la qualità della programmazione)? La democrazia non è ANCHE la capacità di offrire un simile servizio al di là degli interessi privati, un servizio che la popolazione ha dimostrato di accettare, in ogni caso, di buon grado?

Sembra quasi che lo Stato, tramite la sua radioTV, dispensi generosamente al popolo la verità. Ma questo, mi perdoni, è un punto di vista estremamente ingenuo. Una specie di verità… “neutrale”? Ma no! Faccio un esempio significativo e non remoto. Ai tempi di Blocher contro Widmer Schlumpf era forse “neutrale” l’informazione che il pubblico riceveva? Chi era il diavolo? Chi era l’angelo? La radioTV di Stato faceva il suo lavoro, è sicuro, ma era un lavoro “taroccato”, inteso a manipolare l’opinione pubblica.

Una questione “meramente economica”? Non le darò ragione su questo punto! Ma mi affretto a concederle che, nei discorsi ticinesi, il fattore economico diviene dominante. Noi due (e tutti quanti) lo sappiamo il perché.

È realistica, e non solamente e per davvero “ideologica”, la rimostranza di alcuni che definiscono i giornalisti del servizio pubblico in maggioranza “di sinistra”? Che cosa vuol dire ciò per davvero se è chiaro che detti giornalisti, anche se lo fossero davvero, sarebbero comunque impegnati “per contratto” a diffondere notizie e commenti equilibrati (in perfetto stile BBC)?

Assolutamente realistica, rispondo senza esitare. La cosa è assodata e ammessa, le cifre (70% ecc) provengono dalle loro stesse dichiarazioni. Lei parla di “notizie in stile BBC”… ma c’è ben altro: la scelta delle notizie, degli approfondimenti, delle rubriche, dei commentatori ospiti, dei toni. Le possibilità di manipolazione sono enormi, e le più pacchiane sono le più innocue. Le faccio solo un piccolo esempio, significativo però. Ai tempi di Blocher l’annunciatore spesso lo bollava come il “tribuno” Blocher, cosa che io stesso ho potuto verificare molte e molte volte. Il messaggio per l’ascoltatore era lampante: una testa calda, un demagogo, un estremista, un arruffapopoli. Può anche darsi che l’operatore credesse di far bene, oppure mirasse a ingraziarsi i suoi superiori, chissà. Secondo me in certi casi i giornalisti di sinistra nemmeno si rendono conto della loro faziosità.

In Ticino, se si palesasse il “SÌ” alla “NO Billag” a livello nazionale, moltissimi sarebbero i posti di lavoro “sprecati”, nel senso di posti di lavoro garantiti nella realtà dei fatti dalla coesione nazionale che favorisce le minoranze. Questo autentico atout della democrazia svizzera, che garantisce voce, importanza e mezzi alle realtà regionali minoritarie, è davvero da abbandonare quando lo si considera dal punto di vista ticinese?

Questo del “bagno di sangue occupazionale” è l’argomento più incisivo di cui dispongono gli avversari della No Billag, ancor più nel Ticino. Nel corso dei decenni la quantità (eccessiva) di denaro che fluiva verso il Ticino ha trasformato la RSI in una specie di mastodonte  “too big to fail”, che con i soldi che NON guadagna dà lavoro a un sacco di persone e a numerose aziende. Ha per questo grandi meriti? Direi di no, poiché si limita a spendere il denaro che le viene assegnato.

Ma la sua presa sulla società è forte e profonda, con la pagnotta non si scherza. Nel Ticino il tema economico è l’argomento-principe, quasi impossibile da battere.

Quale sarebbe, nei numeri, nei fatti, l’impatto di questa rinuncia sulla realtà socio-economica ticinese?

I numeri li abbiamo letti tutti (numeri grandi, forse esagerati ad arte). Ad essi non aggiungerò i numeri del De Maria! Il popolo di Comano è di gran lunga quello che grida di più, ma pensi a quanti funzionari di banca hanno perso il posto in silenzio, senza il privilegio di decine di articoli o lettere nel Corriere del Ticino. Ci sono “morti” silenziosi e “presunti morti” fragorosi. Qui non vale la par condicio!

Ultima domanda: in un mondo inondato da notizie di ogni genere, in una realtà alle prese con i social network e le varie “tendenze” che sono proprie a questo modo di fare informazione, una produzione di carattere nazionale, la cui emissione è curata, gestita (e pure possibilmente sottoposta a critica) in loco, non è un tassello necessario proprio all’identità svizzera e degli svizzeri che in questo modo possono garantire lo sguardo svizzero sulle cose e sui fatti senza soggiacere a mode, influenze e quant’altro incontrollabili e irraggiungibili? Ricordiamoci che noi, i cittadini, possiamo avere un’influenza concreta sui nostri programmi (ma solo sui nostri programmi) rivolgendoci, se del caso, agli enti a ciò preposti.

La Sua domanda è formulata molto abilmente ma mi lascia ugualmente perplesso. Che cos’è tutto questo improvviso amore per la “svizzeritudine” che pervade la sinistra? La sinistra è geneticamente nemica dell’identità nazionale. La considera (nel migliore dei casi) superata; altrimenti peggio. La sinistra vuole i migranti, la soggezione all’Unione europea, l’Islam coi minareti, eccetera. La sinistra disprezza le nostre tradizioni, che vorrebbe dissolvere nella “multiculturalità”. Persino Bertoli è diventato patriottico. Tutto ciò è estremamente sospetto.

Già che ci siamo le dirò che è stata la destra a lanciare questa iniziativa, e il motivo fondamentale lo conosciamo tutti. Non certo per un desiderio di “meno Stato” (motivo plausibile ma ampiamente secondario). Il motivo vero e primario è che la destra ritiene – mio avviso a ragione – di essere stata discriminata e danneggiata, durante decenni, da una informazione tendenziosa (eufemismo) controllata dal potere politico avverso.

L’avvocato Tettamanti ha detto che la No Billag perderà (lui le cose le sa). Ma alla fine di questa estenuante battaglia… non sarà tutto esattamente come prima.