L’articolo è “di battaglia” e usa espressioni forti, che possono anche suonare provocatorie. Ma il concetto di fondo espresso dall’autore ci sembra sostanzialmente corretto: il potere politico dominante (“establishment”) preleva a forza di legge dalle tasche dei cittadini i mezzi atti a finanziare l’informazione che esso stesso controlla.

È illegale? Ma no, illegale non è.

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La SSR assomiglia a un laboratorio protetto, in cui nessuno si assume responsabilità. Attorno alla tavola riccamente imbandita della tassa Billag si affolla una casta di privilegiati, che vivono bene a spese della popolazione.

Chi garantisce che la SSR potrà esistere ancora dopo l’abolizione della tassa Billag obbligatoria? Tutta la campagna di votazione sull’iniziativa No-Billag sembra concentrarsi in modo assillante attorno a questo interrogativo. L’insistenza con cui viene posta questa domanda rivela la crescente incapacità di comprendere come dei prodotti e dei servizi possano essere finanziati anche senza coercizione.

Eppure la risposta alla domanda sarebbe ovvia: se c’è una domanda, ci sarà pure un’offerta. Insomma: se le trasmissioni SSR sono richieste e apprezzate, vi sarà spazio pure per la sopravvivenza dell’azienda SSR.
Se nessuno vuole vedere determinate trasmissioni che oggi vengono prodotte in omaggio del concetto retorico del «servizio pubblico», queste forse scompariranno effettivamente dallo schermo. Ciò non sarebbe tuttavia un dramma, al contrario: la produzione di simili trasmissioni rappresenta uno spreco delle limitate risorse che, se impiegate altrimenti, potrebbero produrre qualcosa di più utile.

Senza il consenso degli utenti
Oggi anche delle trasmissioni poco amate hanno per così dire una «garanzia politica» di sopravvivenza. Quali sono le conseguenze di ciò? La principale è lo scoppiamento tra reddito e prestazione nei media finanziati dallo Stato. Parecchi ex-dipendenti SSR testimoniano che alla SSR si guadagna bene e si lavora poco. Ma il problema da evidenziare non è tanto questo. Va riconosciuto ovviamente che anche nei massmedia di Stato vi sono giornalisti che fanno un buon lavoro. Quindi non si tratta di dire che tutti i giornalisti del servizio pubblico sono «pigri» o lazzaroni, quanto piuttosto che essi non sono tenuti ad assumere la responsabilità del loro operato.

Il problema centrale è che il finanziamento dei prodotti mediatici avviene senza il consenso dell’utenza. I produttori di servizi della tv di Stato non devono farsi pensiero riguardo alla vendita (o al gradimento) dei loro prodotti. Le entrate continuano ad alimentare vigorosamente le casse SSR, anche nel caso che i suoi giornalisti si lascino andare a fare un’informazione unilaterale e squilibrata, oppure a diffamare in modo ingiustificato personalità a loro sgradite. I molti reclami di utenti presso l’ombudsmann attestano questi errori a ripetizione. E la situazione non cambierà di una virgola finché gli utenti non avranno la libertà (il diritto) di disdire l’abbonamento tv, se non sono più contenti delle prestazioni che ricevono in contropartita.

La veemenza, con la quale certi profittatori del canone Billag obbligatorio combattono contro l’iniziativa No-Billag, ci mostra pure il loro atteggiamento eccessivamente pretenzioso: essi danno dell’ «egoista» a chi sostiene la facoltatività dell’abbonamento radio-tv, ma in realtà sono loro ad esserlo e a vivere senza scrupoli sulle spalle dei loro concittadini. Nessuna meraviglia: chi si è abituato a stare bene nel «laboratorio protetto» della tv di Stato, perde presto il senso della realtà e dimentica che noi viviamo in un mondo dalle risorse e dai mezzi economici non illimitati. Il denaro non cade dal cielo, ma deve essere prodotto dal lavoro di qualcuno. Ma di questi perdenti – ovvero della massa anonima dei cittadini messi sotto tutela e obbligati a pagare il canone – ovviamente non parla nessuno.

Particolarmente grottesco è il fatto che, con il prelievo coatto della tassa Billag per finanziare dei media privilegiati dallo Stato, avviene una enorme redistribuzione della classe media e dai bassi redditi verso una classe privilegiata di benguadagna. Lo stipendio medio dei dipendenti SSR ammonta a oltre 9000 franchi mensili, mentre lo stipendio medio in Svizzera è di circa 6000 franchi. Nei piani alti SSR girano salari superiori a quelli dei consiglieri federali (NdT: il direttore generale della SSR piglia 44’692 franchi al mese, ovvero quanto molti lavoratori nel Ticino guadagnano – se va bene – in un anno). Che i socialisti sostengano questa ingiustizia, dimostra che a costoro interessa solo assicurare i privilegi di una tv di Stato, la maggioranza dei cui dipendenti si definisce di sinistra. Gli interessi della piccola gente, del popolo, devono per cortesia passare in seconda linea, quando si tratta di mantenere il potere!

Non desta per niente meraviglia che tra i più scaldati fautori della tassa Billag obbligatoria vi siano quei rappresentanti dei media che beneficiano della manna Billag. Come “tossicodipendenti”, costoro hanno il timor panico di non più ricevere in futuro la generosa iniezione di finanziamento pubblico, che finora ha permesso loro di sfuggire al mondo dei comuni mortali dove vige la realtà della concorrenza e la necessità di adeguarsi alle esigenze dell’utenza.

I fautori della tassa Billag obbligatoria, nella loro pretesa di pigliare i soldi dei loro concittadini, dimenticano tuttavia di porsi il quesito a sapere se il proprio comportamento sia etico. Costringere i propri simili, con la minaccia della coercizione, a compiere atti contro la loro volontà, di regola e in condizioni normali è ritenuta una cosa indegna. Delitti come la coazione, il furto e la rapina rappresentano la violazione di questo principio morale e vengono giustamente perseguiti. Orbene, che cosa è la tassa Billag se non una coazione permessa dallo Stato e un furto autorizzato e legalizzato dallo Stato?  È moralmente sostenibile portare via denaro ai cittadini con l’aiuto del monopolio statale dell’uso della forza, per finanziare una rete di massmedia «capitalisti di Stato» e dando luogo in tal modo a una distorsione del mercato e della concorrenza? È veramente un compito di uno Stato di diritto liberale proteggere questo quasi-monopolio nel settore dei media? O uno Stato liberale non dovrebbe piuttosto provvedere a proteggere la libertà e i diritti di proprietà dei cittadini, come pure a garantire l’esercizio di una vera concorrenza e del pluralismo nei media? Gli elettori il prossimo 4 marzo possono, se lo vogliono, far prevalere nelle urne la giustizia e l’equità.

OLIVIER KESSLER
(Membro del comitato promotore dell’iniziativa No-Billag)

dalla Weltwoche; trad. di Paolo Camillo Minotti