in un’Italia divisa dalla guerra civile ormai imperante, si attuò la fine di vinti e vincitori. 

Giovanni Gentile attuò una riforma scolastica volta alla meritocrazia, che duro sino al 1969, quando la rivoluzione paritaria la abolí. Oggi forse l’Italia necessita di quel che ha perduto. 

Giovanni Gentile

15 aprile 1944. Firenze fiorisce, mentre la primavera delldell’ più sanguinoso della storia d’Italia sboccia nella sua violenta bellezza.

Un uomo rincasa, è alto e veste elegante. Un gruppo di giovani lo ferma. Uno di essi, Bruno Fanciullacci, gli chiede se sia proprio lui Giovanni Gentile, il ministro, il filosofo. Annuisce. Una pallottola gli trapassa il cuore.

Finisce così la vita di una figura di spicco della politica italiana, una figura totalmente positiva, in una storia (quasi) totalmente negativa, il cui operato, oggi malgrado tutto, sta per essere dimenticato.

Nato nel maggio del 1875, a Campobello di Mazara, figlio di un farmacista, vince nel 1893 una borsa di studio che gli permette di proseguire gli studi dopo il liceo classico a Pisa, alla prestigiosa università Normale.

“Dall’antico al moderno” commenterà il giovane filosofo, catapultato da un paese di provincia a un ricco capoluogo.

Dopo la laurea e il matrimonio (1901) insegna all’università di Napoli, unico idealista nel positivismo imperante, difeso da Benedetto Croce, che tuttavia dissentirà da lui nel 1913 per un diverso approccio dell’idealismo alla realtà.

Dal 1914 insegnerà invece all’Università ove si è laureato, a Pisa, mostrandosi favorevole all’intervento. Conscio dell’assenza di organizzazione nella realtà scolastica, dal ’19 inizia a elaborare una propria riforma, aderendo ai Fasci nel ’22 trovandovi una via aperta per la propria innovazione.

Due anni dopo e nominato da Mussolini Ministro dell’istruzione. Ha così inizio la riforma scolastica italiana con stralci sino ai giorni nostri. Attualmente così un dualismo tra allievo e insegnante, che, secondo il suo pensiero, dovrebbe fondersi nell’unità dello spirito dell’insegnamento, incarnato dal maestro stesso.

Una visione elitaria, certamente, che sbarra, di fatto, l’ingresso agli “incapaci” per ottenere solo i migliori professionisti all’uscita dalla scuola stessa. Una visione priamidale, con un forte senso meritocratico.

Una visione che oggi, almeno in Italia, in virtù della liberazione dell’insegnamento, spesso svilito della propria originaria carica, è stata totalmente abbandonata.

La divivisione tra i licei e gli istituti professionali; la divisione talvolta drastica tra i sessi, con un liceo femminile che chiuderà tuttavia già nel ’29 per lo scarso successo ottenuto. Ma la meritocrazia e la differenziazione delle volontà, così come dei compiti dei professionisti di domani.

Una riforma discutibile, certo, per l’imposizione della differenziazione sociale consequenziale, eppure volta a differenziare la società, in una dialettica positiva.

A differenza di oggi, per esempio, ove in Italia il liceo ha spesso studenti che ne vivono la realtà come un’imposizione, avendolo scelto solo per il “nome”.

Gentile continua la propria carriera, aderendo al fascismo perbkotivi tecnici, e distanziandosi, ormai per sempre, dal lontano amico Croce.

Il 24 giugno 1943 invita, in un celebre discorso, gli italiani, a non dividersi in una guerra fratricida, discorso forse dettato dall’ideale dialettico sempre perseguito.

Firenze, 1944. Il funerale di Giovanni Gentile

Gentile paga con la vita il non aver preso le distanze dal regime del suo tempo, nel quale aveva fatto successo.

Un anno dopo il suo discorso, quasi un’uscita di scena dalla sua vivida carriera, un gruppo di partigiani, capeggiati dal giovane Fanciullacci, gli spara a morte.

Due mesi e mezzo dopo, lo stesso Fanciullacci morirà nella stessa Firenze, gettandosi da una finestra per fuggire all’interrogatorio delle SS.