Il ministro cantonale dell’educazione, della cultura e dello sport Manuele Bertoli ha affermato che non si tratta di una scuola di sinistra, anzi per la verità ha detto «socialista», ma la sostanza è la medesima. Mai affermazione fu così lontana dalla realtà. Molte persone, anche politici di lungo corso, vanno affermando che non esiste più la destra e la sinistra. Sarebbero termini e concetti vecchi e superati, approcci incapaci di indicare la bussola per perseguire il bene comune, non più attuali e spesso, si afferma, fuorvianti. Non la penso così. Semmai i termini non piacciono più perché da tempo i partiti, nessuno escluso, presentano a dipendenza della convenienza, obiettivi che sono un misto tra le due grandi tendenze ideologiche. Se proprio lo si vuole si cambi pure il nome, comunque per restare all’essenziale, sinistra è sinonimo di egualitarismo e statalismo; mentre destra di libero mercato, nonché di uno Stato semplice ed efficiente che fornisce al cittadino le basi di partenza con strutture e regole che ne favoriscono l’iniziativa e lo sviluppo. Insomma, non si può certo affermare che le cose siano cambiate, tantomeno i significati. Il progetto della nuova scuola è palesemente ideologico.

Queste brevi, e in fondo semplici definizioni le ho ricordate per dare il via a qualche considerazione su «La scuola che verrà», votata nella forma della sperimentazione del progetto dal Parlamento e contro la quale è in atto la raccolta delle firme per un benvenuto referendum popolare.

Anzitutto il modo e il momento in cui la riforma ha ottenuto il nullaosta da parte del Consiglio di Stato in corpore, fa nascere qualche dubbio. Infatti nel medesimo periodo l’Esecutivo cantonale aveva preparato una manovra di rientro, poi un pacchetto (sul quale voteremo il 29 aprile) con due componenti: la parte fiscale con diversi alleggerimenti, nonché la parte sociale con l’elargizione di sussidi e altro. Non c’è la prova provata, ma sembra proprio che le due cose, gli sgravi da una parte e una nuova socialità dall’altra, siano nati proprio dal più classico do ut des all’interno del Governo, condizionati dalla diversa filosofia politica, o sensibilità tra i suoi componenti. Sarà anche vera la spiegazione con la simmetria dei vantaggi, ma di certo non solo quella ha favorito le scelte concordate. Non a caso il Partito socialista, in opposizione al suo ministro e alla stragrande maggioranza del suo gruppo parlamentare, ha promosso un referendum. Lo scopo è scindere le due facce del pacchetto.

Credo che intervenire sulla scuola media, dopo tanti anni, possa essere cosa doverosa e saggia. Snaturare il principio sacrosanto secondo il quale noi umani, per fortuna, non siamo tutti uguali, è un’atra cosa. Per tornare ai compiti di uno Stato liberale, esso ha l’obbligo di dare le possibilità di partenza uguali per tutti. Poi ognuno arriverà dove vorrà, o forse meglio, dove potrà e sarà in grado di arrivare; questo senza frenare nessuno, ma senza vendere false illusioni. Importante è che ognuno sia messo nelle condizioni di raggiungere la massima quota che gli è congeniale. Per contro, con la filosofia di sinistra si vorrebbe che tutti arrivassero al medesimo livello, cosa ovviamente impossibile e addirittura inimmaginabile.

Il PLR, ma anche altri, erano decisamente contrari e avevano una loro coerente visione dei cambiamenti da effettuare nella scuola. Poi hanno annacquato le loro proposte e sono giunti a un compromesso poco lontano dall’originale dipartimentale. Sarà per la concordanza, sarà per il quieto vivere, ma di fatto, sostenuti anche dal PPD, hanno concretizzato una soluzione di poco valore. Per di più ognuna delle opzioni sarà sperimentata in un paio di sedi scolastiche ticinesi, senza che sia ben chiaro il metodo di verifica per concludere quale sarà risultata la migliore. Ho sentito diversi genitori insoddisfatti di vedere i loro figli fare da cavia in un esperimento poco chiaro. Né va dimenticato che l’impegno finanziario per la prova sarà di quasi 7 milioni di franchi. La sua applicazione futura poi, da ritenere sicura se si farà la sperimentazione, costerà una trentina di milioni di franchi l’anno. Non sono contrario a spendere di più per l’istruzione, ci mancherebbe, sono contrario a usare i soldi del contribuente per un progetto che, se sarà implementato, porterà inevitabilmente a un livellamento verso il basso, con le conseguenze che sono facili da immaginare.

Infine c’è da sperare che le firme necessarie vengano raccolte, anche per permettere al popolo di dire la sua e non dipendere solo dalla politica. Un voto servirà pure a consolidare il valore e la continuità dei nostri diritti popolari. Firmate dunque il referendum. Poi la decisione del sovrano sarà accettata da tutti.

Tullio Righinetti, già deputato in Gran Consiglio

(pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata)