A ben due mesi dal voto, l’Italia ad oggi non ha ancora un governo. Eppure, i vincitori ci sono stati: la coalizione di centro destra Salvini-Berlusconi-Meloni aveva ottenuto il 37%; Di Maio il 32,66%.

Paradossalmente sembrano esser stati proprio i vincitori a fare di tutto per non mantenere la vittoria: la querelle verte sulla decisione del premier, dovuta al fatto che Di Maio avrebbe vinto da solo tuttavia con una percentuale minore, mentre Salvini avrebbe vinto con uno scarto di poco maggiore ma in coalizione. E poi gli infantilismi sull’infelice battuta del mai uscito di scena Cavaliere, nei giorni delle consultazioni, che invitava a guardarsi “dagli antidemocratici” con chiaro riferimento ai Cinque Stelle, e consequenziale rottura, lacrime di nevrosi e offesa dei tirati in causa. Infine, la procrastinata attesa di Matteo Salvini, per le elezioni del Friuli Venezia Giulia, in attesa che vinca il chiaro vincente Massimiliano Fedriga, perché, a dir del “capitano” una regione in più porterebbe più numeri (ideali) al governo per conferirgli il ruolo di premier.

A Trieste Salvini e Berlusconi si sono abbracciati, proprio durante la campagna elettorale di Fedriga, per sancire la riavvenuta riappacificazione dopo i contrasti con Forza Italia per la scelta del candidato per la Regione Friuli.

Mossa impegnativa, che sancisce la coalizione tra destra “vecchia” e “nuova” (sempre che tale si possa definire), di contro alla ponderata e (ormai frantumata) alleanza coi Cinque stelle, dopo il recente ammiccamento di Di Maio al Partito Democratico, al quale il Movimento, nonostante le precedenti campagne elettorali spese a suon di insulti (anche pesanti) ai DEM, ora invece guarda, per conquistare l’agognato e conteso ruolo di premier. Luigi Di Maio ha anche scritto una lettera al Partito Democratico – una lettera aperta, che ha anche inviato al Corriere della Sera – su dieci ipotetici punti in cui si troverebbe in accordo col PD.

Salvini pare avere ormai chiuso al suo rivale populista, avendo oggi affermato di “non cambiare idea, né programma in corso.”
Il ministro Calenda, evoca la necessità di un governo istituzionale.

C’è chi vince e non sa vincere.