Si è concluso oggi il processo a Michele Egli, informatico della SUPSI che il 14 ottobre del 2016 ha assassinato sua cognata Nadia Arcudi. Michele l’aveva colpita con una bottiglia di vetro per poi strangolarla con una sciarpa. La Corte della Assise criminali di Mendrisio riunita a Lugano e presieduta dal giudice Amos Pagnamenta ha pronunciato oggi la sentenza: l’uomo è condannato a 20 anni di carcere.

“La reazione di Michele Egli è stata provocata da una semplice discussione con sua cognata Nadia Arcudi, come ne succedono molte in tante case, di un’importanza vicina allo zero. Il suo gesto è assolutamente ingiustificato. Ha colpito la donna per farla tacere e per evitare che raccontasse quanto successo, alle spalle, a tradimento e in modo perverso, mostrando freddezza e padronanza della situazione dopo i fatti, quando ha cercato di coprire le sue tracce e depistare le indagini”  sono state queste le parole che hanno sentenziato che l’azione di Egli soddisfa i tre presupposti del reato di assassinio.

La procuratrice pubblica Pamela Pedretti che si è occupata del caso aveva chiesto che all’uomo fosse dato il carcere a vita perché avrebbe ucciso “una persona a cui voleva bene come a una sorellina, con cui aveva un ottimo rapporto. Per futili motivi”. Per una sentenza di tale portata tuttavia mancava la premeditazione.

Gli avvocati dell’imputato invece avevano chiesto che il reato commesso da Egli fosse considerato come omicidio intenzionale appunto perché mancava la premeditazione. Secondo i legali Maria Galliani e Luca Marcellini, quella sera Michele si è trovato di fronte ad una donna che non corrispondeva all’immagine di lei che si era creato negli anni “Per lui era crollato un mito. E l’ha uccisa sul momento”. La difesa chiedeva 15 anni.  Ma per il giudice si è trattato di un gesto “innammissibile e ingiustificabile” commesso “senza scrupoli e con lucidità”. A testimonianza di questo ci sarebbe il fatto che Egli ha agito con estrema freddezza nelle ore e nei giorni successivi, andando fuori a cena con la famiglia e addirittura tornando a casa della vittima in seguito perché aveva dimenticato di chiudere una porta.

Si conclude qui la sconcertante vicenda che ha scosso il Ticino e lasciato un vuoto incolmabile nella famiglia di Nadia Arcudi.